Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/239

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dal «tacito abburattato» 233


plicarti in mille statue al niente. In un giorno stesso, in un’ora stessa. Dir di te si puote ciò che disse Stazio di cittá sforzata per assalto, quando in essa sbocca il fier torrente degli assalitori: nec urbem invenias, vix signa audita. Ben te lo averebbe alcun filosofo od astrologo potuto presagir quel giorno, che Tiberio alla presenza del pontefice e del popolo romano, nella morte di unico figliuolo, da esso generato, da esso adottato, col cadavero ancor caldo avanti gli occhi, per dir cosí, senza gittar lagrima, mentre le turbe ne facean torrenti, con intiera voce e fermo viso, nel lodar l’estinto meglio assai che padre apparí oratore. Experiendum se dedit Seiano ad latus stanti quam patienter posset suos perdere. Ben avresti allor potuto accorgerti, che i principi non sanno amare, e solo sottopongonsi ad affetti, da cui di esser sopraposti ponno sperare. Non sa amare il favorito chi il figliuolo né men sa amare. Né sa amare il figlio chi nella morte va cattando titoli, ambizioso nella costanza.

Svegliatevi, sgannatevi, o piú favoriti cortigiani, che credete di essere nel firmamento della grazia principesca stelle ben fisse.

               Dulcis inexpertis cultura potentis amici,
               ’expertus metuit;

perché? perché, dice Giuvenale:

          Quis timet, aut timuit gelida Praeneste ruinam?
          Nos urbem colimus tenui tibicine fultam
          magna parte sui.

Fra piccoli è sicura e stabile amicizia, ma quella de’ grandi attiensi a cosí debol filo, che non puoi tirar sí dolcemente, che non si rompa. Potentior amicus vos non in amicitia, sed in apparatu habet. Oh, bene. In apparatu: cioè a dir figura di tapezzarie, solo fatte per istare appese ad un’anticamera. Ed appunto ho giá osservato, che per mantener tali figure intatte contro le tignuole fregansi soavemente con mazzuoli di assenzio; ond’io ritraggo quanto siano veramente amari que’ soavi