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Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/287

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pensieri politici e morali 281

In cosí fatta debolezza incorrono non meno gl’ignoranti che i dotti, o perché non sanno mutare quella natura nella quale sono assuefatti, o perché non credono si debba mutare quella che gli ha prosperati. Ma la fortuna sovente varia cogli uomini, perché ella varia i tempi ed essi non variano i modi (T., in).

XLIII

La salute dai nemici.

L’inimico, ponendo fra le angustie, dá a conoscere quello che si può fare: molte volte, perché aumenta l’intelletto, e le piú, perché fa libero l’arbitrio, levando la forza alla legge con quella della necessitá. Questo se gli deve che, obbligando, disobbliga, difficoltando, facilita, col mutare in giusto l’ingiusto e in necessario quello ch’era conveniente. La natura, sia pigra sia prudente sia avara, indugia a far l’ultimo sforzo nell’ultima violenza. È ben vero che, per riserbarsi da poterlo fare, sovente muore senz’averlo fatto, e sovente anche perché non l’ha fatto. Non si ha da correre inconsiderati agli acquisti sempre che si può. È gran guadagno il mantenere l’ignoranza, dove è piú facile l’insegnare che l’acquistare (S., 225).

XLIV

L’esperienza storica e la dimenticanza.

Lo spazio di cento anni per lo piú è la larghezza dell’alveo che ha il fiume della dimenticanza. Sono di giá morti quegli uomini che conobbero infruttuose, vane, non senza gran pericolo e con grandissimo danno le ribellioni. Non si scorgono piú le ville abbruciate, gli arbori inceneriti, le terre insterilite, le cittá deserte, distrutte, disfatte. Non si crede il danno o, se si crede, non si stima, perché si conosce riparabile, perché si vede riparato (P., 131).