restringenti il genere: la prima, intorno ai maggiori beni del
governo, mi pare troppo universale; essendo molti i beni grandi
e maggiori del governo, circa li quali non vi occorre la ragion
di stato, tali essendo le leggi scritte, che con quella non hanno
che fare. Né vale lo spiegare che, per maggiori, si debbano
intendere tra le grandi le maggiori: sí perché le leggi scritte
sono quelle, che piú conservano la buona republica, che hanno
per principale scopo il ben de’ popoli, al quale le leggi sono
indrizzate; oltre che le parole delle definizioni devono esser
chiare, non ambigue, e maggiormente quelle che sono poste
per la differenza, se bene deve ristringere il genere. L’altra poi,
cioè che non sia obligata ad altra ragione, ancora piú oscura
mi pare e ambigua; e perciò vien dall’autore spiegata, che
non sia obligata se non alla sua propria, e a se medesima, e
ad essa buona consultazione: la quale non è altro, che ragione,
e retta e vera ragione. Imperciocché le definizioni devono esser
chiare, e la differenza chiarissima: cosa che in questa particella
non si trova, perché il dire, la ragion di stato non esser obligata ad altra ragione, ciascuno potrá pensare esser sopra la
ragion divina e di natura. E se bene si spiega, che dependendo
dalla vera prudenza consultativa, non potrá deliberare cosa, che
sia contro la legge di Dio e di natura; è però vero, che è parola ambigua, che non si ammette nella diffinizione. Oltre che,
la ragion di stato delle ree, non dependendo dalla vera prudenza, ma essendo una certa avvedutezza, la quale con le ree
ha quella proporzione che la prudenza ha con le buone, non
potrá ammettere quella interpretazione né quella scusa. Essendo
dunque questa diffinizione per sé imperfetta, non accomodandosi a tutte le ragioni di stato, e il genere troppo ristretto, e
le differenze ambigue, oscure, né bene specificanti il genere,
non si doverá per buona ricevere.