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268 viii - da «storia e fantasia»

          55tutto in quell’angelo
          ridea dipinto.
          Ma, dal cinabro
          molle del labro
          quando l’accento
          60sentii fluir,
                         sí acuto e forte
          fu il rapimento,
          che nella morte
          credei vanir.


     65— Scoti la nebbia e svégliati
dal gaudio, amico mio.
Serbasti in cor sí fido
e sí gentil desio
qua nel terrestre nido
70di salutarmi un dí,
               che un’ora anch’io dal santo
mio cerchio mi divido,
per riveder chi tanto
d’anni e d’amor languí.


     75Non mi guardar sí attonito!
« Per rivederti » ho detto,
ché giá ti vidi in culla
festante pargoletto
con l’anima fanciulla
80piena di luce ancor,
               che ride e nulla intende,
che scherza e non sa nulla
di questa, in cui discende,
caverna del dolor.