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canto quarto 55

E sotto al raggio d’un fanal notturno,
cinto di bari, in una cava oscura,
scoperse un uomo (e le parea Leoni)
505gittar convulso l’ultima moneta
sopra una carta; e stringere le pugna,
bianco dall’ira; e bestemmiar la sorte
e giurar contro Dio.
Mise ella un grido,
ma non seppe destarsi. E quella stanza
510maledetta fuggía. Ma un’ampia landa
le si pose davanti; e misurarla
vedea quell’uomo a giganteschi passi,
e lunge lunge, oltre i morenti lembi,
onde si distendeano, onde ed altre onde,
515senza riposo. E una raminga prora,
come penna di corvo entro alle nebbie,
in quelle vaporose indefinite
lontananze del mar si disperdea.
     Trambasciata, sudante, ella si scosse.
520Aperse gli occhi, le rivenne il senso;
sul cor tremante delle viste cose
ne passaron mill’altre; un gel la strinse;
e disperatamente, tra le coltri
chiusa la testa, piú pensier non ebbe.
     525Taciti e soli, sul venir dell’alba,
mosser dai campi alle natie lagune.
Rifecer quelle vie senza parola;
risolcaron quell’acque
Egual rimasta
era la terra. Eguale il mar. Partiti
530eran col riso dell’april; col riso
dell’april ritornavano. Ma il core?
Ah! sui campi del core, a disertarli,
era passato il vento della morte.
     Quel riveder, risalutar gli alberghi
535consci di tante voluttá segrete,