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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/145

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naccia del pericolo siciliano possano sognare di ritenerlo sufficiente alla messa in valore graduale delle ricchezze del protettorato (1).

Ben diversamente però si presentano le cose in Francia, che fu il primo. paese del vecchio mondo nel quale il problema della con- correnza estera al lavoro indigeno sia stato nettamente proposto al- l'opinione pubblica, cagionando i più appassionati dibattiti, e dove correnti di idee contradditorie e misure diametralmente antitetiche sian nate dall’opposto punto di vista con cui la presenza degli stra- nieri viene, da contrarie parti, considerata.

Mentre infatti la legislazione civile pare dominata dalla preoccu- pazione di supplire al troppo tardo incremento della popolazione, as- similando ad essa, per effetto automatico della legge, il maggior nu- mero possibile di stranieri (legge 26 giugno 1889), nella legislazione economica prevale l’idea più grettamente protezionista del lavoro nazionale (2). Ed il progredire insensibile di questo spirito gelo- samente nazionalistico, che, pur non ottenendo di esprimersi in siste- matici istituti di esclusione del tipo transoceanico, é riuscito a com- penetrare di sé l’intero corpo della legislazione sociale della terza repubblica e minaccia di estendersi vie meglio sotto la pressione assidua delle forze operaie organizzate, ci offre una delle manifesta- zioni più caratteristiche dell’universale fenomeno, la cui fisionomia subisce, dall’indole tradizionale dei popoli e dalla struttura econo- mica delle società, cosi radicali modificazioni.

Quando, scrive il conte Tornielli, i principi della scuola liberale furon qui soppiantati dal protezionismo, la malevolenza naturale che sempre e dovunque inspira il possibile competitore, la quale, nel sistema della libera concorrenza, non trovava appoggio, prese forma di dottrina, affermandosi nella formula della protezione dovuta dallo Stato al lavoro nazionale (3). Nel parlamento, uno dei primi tentativi

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  1. (1) Per le stesse ragioni in Algeria (dove non hanno applicazione norme costanti rispetto all’impiego di stranieri in opere pubbliche, rimanendo la questione regolata dal beneplacito dei singoli uffici) i decreti del governatore Laferriére, che riservavan quasi esclusivamente ai francesi i lavori pagati dallo Stato, dovettero esser pressoché subito revocati, perché il municipio di Bona, appaltando nel 1901 alcune opere edilizie, si vide costretto ad autorizzare nel capitolato l’impiego del 90°/, di brac- cianti e 75 °/. di muratori stranieri.
  2. (2) Cfr. Tornietti, “La Francia e l’emigrazione italiana , in Emigrazione e colonie, 1906, vol. I, parte 1*, pag. 168.
  3. (3) Nel progetto di legge degli on. Dérouléde, Gauthier de Clagny, Castelin e Millewoye, si calcolava a 1.500.000 il numero degli stranieri lavoranti in Francia per 250 giorni dell’anno, con un salario medio di fr. 2,63 al giorno, il che dava un totale di 986.250.000 fr. di mercedi, che si dicevan ingiustamente sottratte al gua- dagno degli indigeni.
  4. 10. — Prato.