Vai al contenuto

Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/50

Da Wikisource.

- 50 -


sforzo per assimilare la nostra civiltà. Nell’abito, nelle consuetudini, nella vita famigliare, nelle aspirazioni politiche, nelle tendenze e negli affetti, esso si mantiene tenacemente fedele alla sua tradizione nazionale, inviando alla patria il 75 per cento dei suoi risparmi e disdegnando perfino che nella terra d’esilio dove il bisogno lo ha gettato rimangano, dopo morte, le sue ossa (1). Relegato in appo- siti quartieri, vi si mantiene tetragono a ogni influsso di idee sociali e morali esteriori e immutabilmente refrattario a qualsiasi tentativo di azione educatrice. Chinatown di S. Francisco era, prima del ter- remoto, un distretto misterioso, un covo malsano, un ghetto asiatico, dove trionfavano impunemente, accanto ai peggiori vizi della razza, le forme di delinquenza pit atroci, merce le quali soltanto può man- tenersi rigorosamente isolata dall’ambiente esterno una comunità for- mata e mantenuta in frode alla legge. Come sperare che un popolo di tali tendenze e di simili costumi possa un giorno, sinceramente e lealmente, americanizzarsi?

L’arrivo dei giapponesi ha, da un giorno all’altro, capovolta questa argomentazione. A differenza dei cinesi, i nuovi venuti, ben lungi dal temere l’assorbimento per parte della civiltà locale, fanno ogni loro sforzo per promuoverlo ed affrettarlo. Entusiasti dell’edu- cazione occidentale, insistono per frequentar le scuole bianche, ap- punto per non rimanere in un’atmosfera esclusivamente asiatica. A- vidi di istruzione, si impiegano gratuitamente in qualità di domestici presso le famiglie ricche alla sola condizione di aver qualche ora libera per frequentare gli istituti secondari e le università (2). Dopo che, nel 1906, una legge federale ha stabilito che, per esser naturalizzati, occorreva la perfetta conoscenza della lingua inglese, nessuno meglio dei giapponesi si applica con passione a studiarla. Sdegnando di abi- tare Chinatown, questi stranieri vestono, mangiano, vivono all’ame- ricana; fondano nella nuova patria imprese vitali, col sussidio per- fino del capitale nazionale; e non tralascian occasione di professare l'ammirazione più fervente per la civiltà superba al cui progresso trionfale offrono il contributo volonteroso delle loro valide forze (8).

(1) Gfr. G. CG. Perkins, *“ Reasons for continued chinese exclusion , in North American Review, luglio 1906; e Drace, La questione operaia negli Stati Uniti in “ Biblioteca dell’Economista ,, serie IV, vol. 5°, parte 1%, pag. 876 e segg.

(2) Molti degli uomini di Stato, dei pensatori, degli educatori, a cui si deve la rigenerazione del Giappone, studiarono agli Stati Uniti in tali condizioni. Cfr. J. Nrrose, The intercourse between the United States and Japan. Baltimore, 1891, pag. 165 e seg.

(3) Cfr. Cuzsrer H. Rowetn, “ Chinese and Japanese immigrants. A comparison , in Annals of American Academy of political and social science, XXXIV, 2, p. 3 e segg.