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I FRATELLI.

Idillio.

È l’ora del sagrifizio. Gl’incensi vaporano soavemente l’aria circostante all’altare, che, impregnata di quel profumo, si direbbe più atta a ricevere le sonore inpressioni dell’organo. Il sacerdote, tutto chino nella persona, è intento ad orare, e i cerei che scintillano sovra il suo capo sembrano scuotersi nelle loro fiammelle all’appressare del grande mistero.

Che vuole quella truce faccia d’uomo, che se ne sta ginocchioni a lato l’altare? Egli è prostrato dal canto ove il sacerdote poco prima ebbe a leggere la lezione dell’Apostolo delle genti. Con una faccia tanto truce che è egli venuto a fare nel recinto della pace, in ora tanto solenne? Ma la sua fisonomia si va più e più sempre mansuefacendo; diresti che ad ogni ondata d’incenso che sale, ad ogni nota della sacra armonia, ad ogni parola del divino uffizio, si spiccasse dall’anima turbolenta ed astiosa una parte della sua ferità! Non è a dubitare che quando il labbro del sacerdote pronunzii il commiato, colla faccia volta ai fedeli, chi era entrato nel tempio con pensieri di sangue, non ne esca desideroso di abbracciare il nemico.

Ma un rumore si è fatto udire fuori della porta, e un riverbero d’armi è guizzato sull’oppo-