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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/107

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verità, entro certi limiti di discrezione, vuol farsi udire in ogni tempo; il critico leva la voce, e balestrando cinque o sei paroloni pescati nel dizionario della morale posticcia, si crede aver vinta la lite. Ma che è necrologia se non discorso intorno a chi è morto? E se da questo discorso non ve ne viene all’animo un giusto concetto della persona di cui si parla, che altro è da esso alla fiaba, se non la sovrapposizione delle date per colorire l’impostura? Che si dipinga Annibale di profilo per togliere la sconcezza dell’occhio, e Ulisse seduto perchè faccia miglior figura che in piedi, capisco, ma che si piantino in fronte al vincitore di Canne bellissimi ambidue gli occhi, e si accordino al figliuol di Laerte le atletiche proporzioni di Aiace, chi oserà immaginarlo se non i critici delle necrologie?

Se non avete a lodare, soggiungono, ristatevi dallo scrivere; chi vi sforza a turbare la pace dei morti? Certo questo discorso è ragionevole nel generale della necrologia che vuol essere encomiastica anziché il contrario. Ma qual fede darete alle lodi se vi parlano di virtù senza mistura alcuna di difetti, contro ciò che si vede e si vedrà sempre negli uomini? La stessa che alle virtù dei romanzi. E per ultimo, nou devono tornare fruttuosi ai vivi gli studii fatti sopra la sepoltura? Ora che insegnamento se ue trarrebbe dal vedere falsate le cose di manie-