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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/133

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sue dissonanze, di quello certi dotti forensi dallo loro pandette. Oltre che, si credono essi questi siguori di non averla ancor essi la lor fantasia, di non averle ancor essi le loro passioni, che stravolgono e intorbidano l’opera de’ loro intelletti? O credono che nel parlare più o meno affrettato, nel gesto più o meno evidente, in qualche maggior o minor suffusione di tinta infocata per la faccia, stia il maggior o minor senno di un discorso? E non pensano che il contraddire a quanto s’è fin qui detto sarebbe far contro alla massima eterna ed universale: il buono ed il bello concorrere ad un medesimo fine, non potersi dividere che non si distruggano.

Oh! dunque avremo da soffrire ne’ racconti più comunali i colori smaglianti riserbati alle più solenni catastrofi della storia; e nessun discorso ci potrà esser fatto se non a piena orchestra e coll’accompagnamento de’ tamburi? Come in tutto, anche in ciò si domanda moderazione ed è giusto che si desideri una differenza tra pittore e pittore, tra poeta e poeta; ossia tra pittore che colorisce e pittore che narra, tra poeta che rimeggia e poeta che semplicemente discorre. Questo, lo ripetiamo, è assai giusto. Che anzi coloro i quali portano sempre in giro la loro tavolozza, o non aprono mai bocca senza invocare le vergini muse, è ragione che si credano piuttosto artieri che artisti. L’arte è