Vai al contenuto

Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/140

Da Wikisource.
136

no ora da notare alcune menzogne, delle quali si mena pure un grande schiamazzo, e non ne meriterebbero in verità più che tanto. Non sonovi anche nelle società alcune formule pattuite, le quali altro dicono, altro significano? Quando vi proferite umilissimo servitore ad un tale, si provi egli ad ordinarvi di fare questa o quell’altra cosa per esso, come userebbe col servo il padrone! Oh il gran piacere che ho di vederla! sclama Terenzio, a Saverio, entrato nella stanza a cagione della stolidezza del cameriere, che non seppe eseguire il comando del suo padrone, che voleva non essere in casa. E per questo diremo che Terenzio sia un bugiardo? Sono modi di dire, si risponderebbe. E questi modi di dire non ci devono essere anche per gli scrittori? Ad un tale che mi regala le sue prose o i suoi versi, sieno pure prose o versi da farne manti alle acciughe, dovrò io rispondere: oh la gran stolta cosa che mi avete regalata! Oh il gran pezzo d’asino che siete a scrivere di siffatte corbellerie! Eppure la schietta verità vorrebbe che si rispondesse questo e nou altro. Bene s’intende che anche in ciò c’è la sua via di discrezione, e quantunque sia stravaganza il pretendere che si risponda con villanie a chi si studia di piacervi, è giustizia il volere che siano bandite quelle frasi: oh la bella cosa che mi ha dato a leggere! È tal novella che il Boccaccio la torrebbe per sua! Da Gozzi in qua non ho letto più frizzante sermone! La lettura