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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/184

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tamente e chiaramente di varie cose, e neppure farne poco caso, ma anzi considerarla come un bel dono onde alcuni sono da natura privilegiati; solo che non si confonda con quella stemperata abbondanza di parole, e parole che non hanno alcun senso, indizio della fatuità e della petulanza di chi le sciorina senza misericordia. Di che si conchiude, stitico parlatore e abbondante scrittore poter essere qualità amicabili facilmente in una sola persona, non così parlator scimunito e scrittore assennato.

Questo quanto ai così detti uomini di tavolino. Sonovi poi tra gli scrittori certuni che, parlando la lingua degli antichi oracoli, se già non si fa loro troppo onore dicendo che scrivono equivocamente, sono chiamati magazzini o emporii di cose. La qual frase ridotta al suo vero significato viene a dire: uomini che non s’intendono, perchè non hanno la facoltà di farsi intendere, ma ai quali per altro si attribuisce un numero molto copioso di cognizioni. Quant’a me confesso di non saper immaginare come le molte cognizioni possano nuocere alla comunicazione de’ proprii pensieri. Conoscere, secondo me, è veder chiaro, e quanto più si conosce tanto più si vede; sicchè tanto crederei fosse il dire le troppe cognizioni rendono il tale inintelligibile, quanto il dire molti lumi accesi in una stanza la rendono oscura.

È forza confessare che vi ha, quantunque non