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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/206

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rori, come di certe verità, ne attenua la evidenza. Bensì mi permetterò alcune generali osservazioni e alcune domande, non inutili nè intempestive, se si consideri come il vezzo di certe critiche immoderate non tanto è proprio degli stranieri, che non sia più ancora de’nostri. Anzi a tale siam giunti, e in Italia non che fuori, che con una grande abbondanza di teoriche, v’è una molto deplorabile penuria di esempi. Gran che! si volle far guerra a certe regole antiche, savio e generoso divisamento; ma dopo aver dimostrata l’insufficienza di quelle e la loro illegittimità, altre regole s’inventarono non meno illegittime ed insufficienti. Almeno quelle vecchie avevano per se il favore del tempo, ch’è pur qualche cosa; spezialmente in materie di gusto, nelle quali l’ingegno umano non può in tutto francarsi dall’autorità. Io vorrei dire a’ miei contemporanei: a che tanto cicalio e tante risse? Fate: storie, drammi, orazioni, poemi, o, se non più, romanzi; ma fate. Finchè ve ne starete nicchiando nicchiando e nicchiando, non ne avremo che angosce e ululati. O se pure volete continuare in queste astrattezze, badate a non guastare coll’esagerazione ciò che forse avreste potuto con misura correggere e perfezionare.

La critica attuale tra panegirico e satira non ha mezza via; vuol essere trono o berlina, corona o capestro. Eppure oseremmo dire che il