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Conchiudo consigliando di nuovo questi censori ad attendere ai fatti: fatti, fatti, che di teoriche oggimai ne abbiamo d’avanzo. Ripeto: storie, poemi, drammi, orazioni, e, sia pure, romanzi. E quanto ai giudizii, discrezione, modestia, riserbo, se no il gastigo d’Issione vi è apparecchiato; non mica la ruota, ma la beffa della nube: perdonatemi questo spruzzo di mi tologia. Badate al Manzoni. Poche parole di controversia, e invece inni, tragedie, e un romanzo, ch’è troppo più che non suona il suo nome. Non vende egli bossoli di arcana sapienza, ma vi dà un corpo bello e formato colla sostanza e col succo delle sue dottrine; sicché ognuno può notarvi i pregi ei difetti, e far confronti, e imparare. Così l’arte va innanzi, e questo si chiama progresso: ma il nulla non può andare ne avanti ne indietro, e in fatto d’arti le teoriche scompagnate dagli esempi son nulla. Anche nel giudicare imitate il grand’uomo testé citato. Ha egli a parlare del Monti? Vedete come ne parl: in que’ suoi quattro versi sottoposti al ritratto, che se non sono un miracolo di poesia, sono però gravidi di molto sapere, e sorgente di molte osservazioni:
Salve, o divino, a cui largì natura
Il cuor di Dante e del suo Duca il canto;
Fia questo il grido dell’età ventura,
Ma l’età che fu tua tel dice in pianto.