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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/55

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un verso, chi per un altro; ma eccoti una voce che taglia ogni quistione con dire: è troppo metafisico. A questa parola, come fosse una formula d’esorcismo, i giudizii rimangono interrotti, e tutti gli occhi si volgono a guardare chi l’ha pronunziata. Sarà probabilmente una ciera arcigna di cattedrante, che invecchiato tra le sottigliezze della dialettica, si turba al trovare, in forza dei tempi, insinuata l’astrattezza de’ragionamenti nelle questioni più ovvie e più dozzinali. No signori, la è una signorina che ad ogni girare di capo diffonde un profumo di muschio da eccitare lo spasimo nei nervi più sofferenti; una signorina che legge quel tanto di tempo che le è necessario ad attendere la crestaia, e quei libri soltanto che possono agevolarle la conversazione serale. Ma che cosa intende per metafisica quella signora? Qui sta il buono! Non che le cuffie, e le sciarpe non abbiano anch’esse la loro metafisica; anzi credo che quelli delle sarte e delle crestaie siano lavori metafisici in grado superlativo, e nel significato più stretto della parola; ma siccome l’applicazione de’ principii medesimi a soggetti che, quantunque ne siano suscettivi, sono tuttavia assai disparati fra loro, è senza dubbio una delle più ardue operazioni del nostro intelletto, non sarà un offendere troppo duramente l’amor proprio della signora, se crederò ch’essa, abilissima a discernere i punti più minuti delle sue blonde, non