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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/57

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mi vale ogni più lambiccata teorica. A questa parola inspirazione mi volgo a guardare chi l’ha pronunziata. Chi credereste che si fosse quel tale? Forse un uomo, che, avendo sortita dal nascere una condizione di membra e di umori traenti all’ipocondriaco, custodisce il sacro fuoco del genio nelle sue viscere, come l’avaro fa del tesoro, e, contemplando gli oggetti tutti che lo circondano con occhio d’innamorato, riceve da essi le più squisite impressioni che siano capaci di cagionare? Oh come male vi apporreste! È un cotale che stuzzica il genio arruffandosi il ciuffo, o sferzando l’aria colla canna; che si sdraia sopra un sofa inspirando non so che cosa che tiene un po’ della stupidità, e un po’ della noia; o si leva sulla punta dei piedi a guardare in una festa di ballo una maschera al di là della folla che gli si accalca sul petto. Non che l’inspirazione non venga anche ad una graffiatina di capo, ad un odorare di fiori; sopra un sofa parimenti che in cima ad una collina; sempre e dappertutto; ma no certo colle disposizioni dell’animo e dell’ingegno di quel contendente che fa per Caio. Inspirazione è parola che non ha significato per esso, o vuol dire il suo gusto particolare, o meglio la vacuità di ogni gusto. Egli per altro la trova dappertutto, e sempre che vuole, questa sua inspirazione: vedete con chi ne fu liberale madre natura! La trova in un velo più o meno rialzato, in una scarpa più o