68 Orlando disse: E’ non è cosa gnuna
Ch’io ti negassi, Faburro possente.
Allor Faburro sua gente raguna;
E poi ch’egli ebbe assettata la gente,
Volle portar per insegna una luna
Sur una sopravvesta riccamente
Di seta bianca lavorata e d’oro,
Sì che due corna pareva d’un toro.
69 Or lasceremo il popol saracino,
Il qual di Danismarche già s’è mosso,
E ritorniamo al figliuol di Pipino,
Che piange, e dice fra sè: più non posso;
Non c’è Rinaldo, non c’è il suo cugino,
E tutto il mondo qua mi viene addosso;
Non gli conobbi mentre erano in corte,
Or me n’avveggo, e dolgomene a morte.
70 Gan traditor lo riguardava fiso,
E con parole fitte il confortava,
E simulava uno sforzato riso:
O Carlo, troppo di questo mi grava,
Perchè pur bagni di lacrime il viso?
E trentamila de’ suoi ragunava,
E disse: Io voglio andare, il traditore,
a Montalban con questi, imperadore.
71 E tutti a Carlo gli menava avante;
E fece suo capitano il Magagna,
Dicendo: Io voglio assalir lo ammirante
Con questa compagnia, ch’è tanto magna
E so che noi piglieren Lionfante;
Io lo farò dar, Carlo, nella ragna:27
E seppe tanto acconciar ben l’orpello,28
Che Carlo si togliea per oro quello.
72 A Montalban n’andò con questo inganno,
E si pensò pigliarlo a salvamento:
E tutti all’amirante se ne vanno,
E disse: Io ti darò per tradimento
La terra e’ tuoi nimici che vi stanno,
E metterotti questa notte drento;
Ma Lionfante era uom troppo da bene,
E fece quel ch’a’ suoi par si conviene.