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250 il morgante maggiore.

18 Or questo è quel ch’a Rinaldo dolea,
     Che si fussi partito il conte Orlando,
     Chè sanza lui di camparlo temea;
     Pur la sua gente veniva assettando.
     E Gallerana, che gliene ’ncrescea,
     Ognidì Carlo veniva pregando
     Che Ricciardetto libero lasciassi,
     Acciò che Orlando in corte ritornassi:

19 E non tentassi tanto la fortuna,
     E non credessi tanto al conte Gano;
     E se mai grazia far gli debbe alcuna,
     Che Ricciardetto gli dessi in sua mano.
     Ma non poteva ancor per cosa ignuna
     Rimuover dall’impresa Carlo Mano.
     Rinaldo pur quel che seguissi aspetta,
     E tuttavia la sua brigata assetta.

20 Era già presso il giorno deputato,
     E Smeriglione e Vivian di Maganza,
     Come Carlo avea detto hanno ordinato;
     E Ganellone avea tanta arroganza
     Ch’ognun che priega è da lui minacciato:
     Lo ’mperador gli avea dato baldanza;
     Tanto che Namo per nulla non v’era,
     E per isdegno n’era ito in Baviera.

21 E Berlinghieri, ed Ottone, ed Avino
     S’eron partiti, Avolio, e Salamone,
     E ’l figliuol del Danese, Baldovino,
     Veggendo a Gano tanta presunzione;
     Erminion, che fu già Saracino,
     Era con Carlo pien d’afflizione;
     E l’amico d’Astolfo Lionfante,
     Famoso e degno e gentile ammirante.

22 Evvi Morgante con la damigella
     Meridiana e col suo concestoro;
     Ognun di Ricciardetto assai favella,
     Che Carlo a torto gli dava martoro:
     Gan da Pontier sua baronia appella,
     Quando fu tempo, e comandava loro,
     Che Ricciardetto subito legassino,
     E ’n sul fiume di Sena lo ’mpiccassino.