32 Nè fatto servo de’ servi d’Ameto,
Nè tanto tempo Giacobbe fedele,
Che veggendo costei, come discreto,
Serviva per Antea non per Rachele;
Che col suo viso faria mansueto
Ogni aspro tigre arrabbiato e crudele;
Anzi farebbe il mar pietoso e’ venti,
E, per vederla, fermi stare attenti.
33 E non arebbe Andromada Perseo
Combattuta col capo di Medusa,
E fatto un sasso diventar Fineo,
Nè fatto arebbe Ipolito mai scusa:
Nè tanto Euridice chiesto Orfeo,
O ver conversa in un fonte Aretusa;
Se stata fussi Antea nel mondo allora,
Che degli abissi l’anime innamora.
34 Non bisognava che Venere Iddea
Insegnassi a Ipomene già, come
Gittassi, mentre Atalanta correa,
Come fussi passata innanzi, il pome;
Nè nel suo Aconzio Cidippe scrivea,
Veggendo a questa il bel viso e le chiome;
E non sarebbe il convito turbato
Del pome ch’a Parisse fu mandato.
35 Chè non l’arebbe giudicato a Venere,
Non bisognava far di ciò contesa,
E Troia non saria conversa in cenere,
E tutta Grecia mossa a tanta impresa;
Veggendo nude queste membra tenere,
Che m’han sì il cor ferito e l’alma incesa,
Nè da sè sè per sè stesso diviso
Arebbe, questa veggendo, Narciso.
36 E non sarebbe Leandro d’Abido
Portato così misero e meschino,
Come tu sai, fra l’onde già, Cupido,
Appiè della sua donna dal dalfino;
S’avessi Antea veduta, ond’io pur grido:
Nè Polifemo in sul lito marino
Chiamata Galatea colla zampogna,
Dolendosi che in grembo Ati a lei sogna.