49 Che non sa quel che beneficio sia,
Non si ricorda ch’io sia suo nipote,
O ch’in in sua corte in Francia stessi, o stia;
Basta che Gan, ciò che vuol, con lui puote,
Tanto ch’io me ne vado in Pagania,
Pur come voglion le volubil ruote:
E dì, ch’ i’ ho sol con meco un gigante,
Ch’è battezato, appellato Morgante.
50 Il caval che tu vedi, e questa spada,
Altro non ho, se non questa armadura;
E ch’io non so io stesso ov’io mi vada,
O dove ancor mi guidi la ventura:
Ma inverso Barberia tengo la strada.
Andrò dove mi porta mia sciagura,
Poi ch’e’ consente a cercar la mia morte;
E che mai più non tornerò in sua corte.
51 Dimmi a Rinaldo mio, figliuol d’Amone,
Che la mia compagnia, ch’io vi lasciai,
Gli raccomando con affezione;
Ch’io penso in Pagania morire omai:
Saluta Astolfo, Namo, e Salamone,
E Berlinghier che sempre molto amai:
A Ulivier dì che la sua sorella
Gli raccomando, e mia sposa Alda bella.
52 Dimmi al Danese, caro imbasciadore,
Che in Francia a questi tempi non m’aspetti:
E dì ch’ i’ ho Cortana, e ’l corridore,
Acciò che forse di ciò ignun sospetti:
Della mia sopravvesta il suo colore
Vedi come è dipinta a Macometti:
Che si ricordi del suo caro Orlando,
Che va pel mondo sperso or tapinando.
53 Dimmi il tuo nome or, se t’ è in piacimento.
Ond’ e’ rispose: Questo è ben dovere,
O signor mio; chiamar mi fo Chimento:
Cristo ti muti di sì stran pensiere,
Chè tua risposta mi dà gran tormento:
Questo non è quel che ’l signor mio chiere32:
Io voglio, Orlando mio, mi perdoniate,
E che alquante parole m’ascoltiate.