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canto secondo. 33

54 Quand’io da Montalban feci partita,
     Io fui a Parigi, dond’io vengo adesso:
     La corte pare una cosa smarrita,
     Lo ’mperador non pareva più desso:
     Vedovo il regno, e la gente stordita.
     Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso33,
     Ch’ognun ragiona della vostra fama,
     E ’l popol tutto ad un grido vi chiama.

55 Il mio signor con gran disio v’aspetta:
     Parigi, e Francia, ogni cosa si duole.
     Or vi vo’ dire una mia novelletta,
     Chè spesso la ragion l’esemplo vuole.
     Un tratto a spasso anco la formichetta
     Andò pel mondo, come far si suole,
     E trovò infine un teschio di cavallo,
     E semplicetta cominciò a cercallo.

56 Quand’ella giunse ove il cervello stava,
     Questa gli parve una stanza sì bella,
     Che nel suo cor tutta si rallegrava;
     E dicea seco questa meschinella:
     Qualche signor per certo ci abitava;
     Ma finalmente, cercando ogni cella,
     Non vi trovava da mangiar niente,
     E di sua impresa alla fine si pente.

57 E ritornossi nel suo bucolino.
     Perdonimi, s’io fallo, chi m’ascolta,
     E intenda il mio vulgar col suo latino:
     Io vo’ che a me crediate questa volta,
     E ritorniate al vostro car cugino,
     Se non ch’ogni speranza gli fia tolta;
     Disse, che mai a lui non ritornassi,
     Se meco in Francia non vi rimenassi.

58 Il grande amor mi sforza a quel ch’i’ dico:
     Riconoscete e gli amici, e’ parenti;
     L’andar così pel mondo è pure ostico34.
     Orlando udendo i suo’ ragionamenti,
     Disse: Chimento, tu se’ buono amico;
     E gittò fuor molti sospir dolenti:
     E da costui al fin s’accomiatava,
     Sanza altro dir; chè piangendo n’andava.