169 E Malagigi avea di nuovo fatto
L’arte, e sapea ciò che diceva Gano,
E dicea con Orlando: O Carlo matto,
Chè non si può chiamar più Carlo Mano,
Tutti sarete mal contenti un tratto;
E così fu dello imperio troiano,
Poi che l’ultimo termin fu venuto,
Che non era a Cassandra il ver creduto.
170 Orlando aveva nel suo petto sdegno,
Chè Carlo mille volte gli ha promesso
Di coronarlo, e dargli stato e regno;
Ma come Ganellon gli stava appresso,
Così sempre era rotto ogni disegno,
E non parea che fussi più quel desso:
Sì che non val Malagigi riveli,
Chè tutti siam governati da’ cieli.
171 Falseron con Orlando un giorno disse,
Ch’avea pur voglia rivedere Antea
E ’l campo, pria che di Francia partisse;
E che con seco pensato già avea,
Che sare’ ben che con esso lui gisse
E ’l conte Gan, se così gli parea,
Ed Ulivieri; e così s’accordorno,
E tutti inverso del campo n’andorno.
172 Venne Antea incontro, come questo intese,
Chè Falserone er’uom d’alta eccellenzia,
E salutollo, e del cavallo scese;
E rimontata, con gran reverenzia
Saluta Gano, ed Orlando, e ’l Marchese;
Poi gli menò per più magnificenzia
Pel campo a spasso a lor consolazione,
Poi a vedere un ricco padiglione.
173 Il padiglione era una cosa magna,
E drento v’era il caso istoriato
Del Veglio: come e’ fu quella montagna
Ch’addosso al padre è col caval cascato;
E come Babillona ancor si lagna,
E come v’era Morgante arrivato,
E col battaglio guastava la terra;
E come Orlando gli mosse la guerra.