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canto ventesimoquinto. 271

124 E poi che furon tre giorni montati,
     Perchè pure a salir si suda e spasima,
     Sendo in alto una notte addormentati,
     Uccise Fuligatto la fantasima:
     Credo ch’egli eran tanto affaticati,
     Che per l’affanno venissi quest’asima;
     Che il sangue al cor per le vene s’accolse,
     E così mal della impresa gli colse.

125 Rinaldo il seppellì come e’ potea,
     E terminò pur di veder la cima:
     Vide che sotto le nugole avea,
     E lettere gran tempo scritte prima
     In su la rena scolpite leggea,
     Chè vento o pioggia non par che l’opprima;
     Ma poi trovò, nello scendere il monte,
     Una strana Chimera a una fonte.

126 Uccise questa, che fu maraviglia,
     Chè mai nessun più non v’era arrivato,
     Ch’affisar sol questo mostro le ciglia,
     Col guardo suo non l’avessi ammazzato:
     Poi verso il Cair rivolse la briglia,
     Poi vèr Domasco; ed al Giaffo arrivato,
     Volle vedere il sepulcro di Cristo,
     Benchè il diavol non dicessi: Cristo;

127 Disse il sepulcro del monte Calvario.
     Poi lasciâr quivi ciascuno il destriere;
     E tolson chi cammel, chi dromedario,
     E ’l monte Sinaì vollon vedere:
     E perchè il vento si misse contrario,
     Furno a pericol di non rimanere
     Tutti annegati in quel mar della rena,
     E con fatica lo passorno appena.

128 E sopra a Sinaì saliti, e scesi
     Da quella parte ove il gran fiume corre,
     Vollon vedere anche molti paesi,
     E dove fu di Nembrotte la torre;
     Poi ritornati, e’ lor destrier ripresi,
     Saliti prima al bel monte Taborre,
     Trascorson fino in India al prete Ianni,
     E combatteron là molti e molt’anni.