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canto decimottavo 25

119 Poi che m’increbbe il sonar la chitarra,
     Io cominciai a portar l’arco e ’l turcasso:
     Un dì ch’io fe’ nella moschea poi sciarra,13
     E ch’io v’uccisi il mio vecchio papasso,
     Mi posi allato questa scimitarra,
     E cominciai pel mondo andare a spasso;
     E per compagni ne menai con meco
     Tutt’i peccati o di turco o di greco.

120 Anzi quanti ne son giù nello inferno:
     Io n’ho settanta e sette de’ mortali,
     Che non mi lascian mai lo state o ’l verno;
     Pensa quanti io n’ho poi de’ veniali:
     Non credo, se durassi il mondo eterno,
     Si potessi commetter tanti mali
     Quant’ho commessi io solo alla mia vita,
     Ed ho per alfabeto ogni partita.

121 Non ti rincresca l’ascoltarmi un poco,
     Tu udirai per ordine la trama;
     Mentre ch’i’ho danar, s’io sono a giuoco,
     Rispondo come amico a chiunque chiama;
     E giuoco d’ogni tempo e in ogni loco,
     Tanto ch’al tutto e la roba e la fama
     Io m’ho giucati, e’ pel già della barba:
     Guarda se questo pel primo ti garba.

122 Non domandar quel ch’io so far d’un dado,
     O fiamma14 o traversin, testa o gattuccia,
     O lo spuntone; e va per parentado
     Chè tutti siam d’un pelo e d’una buccia:15
     E forse al camuffare16 inciampo o bado,
     O non so far la berta o la bertuccia,
     O in furba, o in calca, o in bestrica mi lodo:
     Io so di questo ogni malizia e frodo.

123 La gola ne vien poi drieto a quest’arte.
     Qui si conviene aver gran discrezione,
     Saper tutti i segreti, a quante carte,
     Del fagian, della starna, e del cappone;
     Di tutte le vivande a parte a parte,
     Dove si truovi morbido il boccone:
     E non ti fallirei di ciò parola,
     Come tener si debba unta la gola.