289 Rinaldo, quando vide Siragozza
E ’l fiume Iber, pargli una cosa strana
Che così tosto la via fussi mozza,
E ricordossi pur di Luciana;
Non so se questa volta parrà sozza:
E come e’ giunse sopra alla fiumana,
Disse: Astarotte, poi che presso siamo,
Io vo’ per mezzo la terra passiamo,
290 E squadrar le fortezze d’ogni banda:
Però di questo mi contenterai;
E quel che facci or la reina Blanda,
Dimmi, ti priego, ch’ogni cosa sai.
Disse Astarotte: In punto è la vivanda,
E se con essa desinar vorrai,
Appiè della sua mensa ci porremo;
Non domandar se noi trionferemo.
291 Or m’ha’ tu il gorgozzul grattato e l’occhio,
Disse Rinaldo, ch’io veggo la fame,
E non è tempo a indugiarsi al finocchio;
Noi ci staremo un poco con le dame:
E gratteren col piè loro il ginocchio,
Ed udirem dir mille belle trame
Di Roncisvalle, e forse il tradimento.
Disse il diavol: Tu sarai contento.
292 E come e’ furno in Siragozza entrati,
Non vi si vede bestie nè persone,
Chè solo i moricini eron restati;
E non si truova un uom per testimone,
Chè tutti alla battaglia sono andati
In Roncisvalle con Marsilione:
Dunque al palagio in corte dismontorno:
La prima cosa, i destrier governorno.
293 E Farferello il famiglio facea,
Ed orzo e fien traboccava a’ cavalli;
Per che il maestro di stalla dicea:
Chi è costui? a certi suoi vassalli;
Ognun risponde che nol cognoscea.
Ma Farferel due occhi rossi e gialli
Gli strabuzzò, poi gli fece paura
Con un baston ch’è di lunga misura.