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canto ventesimosesto 315

4 Or chi vedessi al vento gli stendardi
     Bianchi, azurri, vermigli, e neri e gialli,
     E serpenti e leon, cervieri e pardi,
     E sentissi il tumulto de’ cavalli,
     E l’annitrir per le tube gagliardi;
     Istupefatto sarebbe a guardalli,
     Tanti strumenti e vari segni e strani
     Si sentiva e scorgeva de’ Pagani.

5 Ma Guottibuoffi, che ne dubitava,
     Ch’era famoso vecchio Borgognone,
     Ognidì con Orlando ricordava
     Che si facessi altra provvisione,
     E tuttavolta il campo rafforzava;
     Orlando, qual si fusse la cagione,
     A questa volta non ci ponea cura,
     E non parea che conosca paura.

6 Ulivieri avea il dì dinanzi detto
     Che fatto avea molto terribil sogno,
     Tanto che messo gli aveva sospetto,
     Per che di Daniello avea bisogno.
     Orlando disse: Chi fa col barletto,
     Pensa quel che farebbe con un cogno:
     Ed avea detto in suo linguaggio, e tosto,
     Onestamente, che sognava il mosto.

7 Credo che Orlando, come antico e saggio,
     Cognosceva il suo mal già presso al fine;
     Ma non mostrava nel volto il coraggio,
     Ed aspettava corona di spine
     Omai di Spagna e ’l tributo e l’omaggio:
     E poco vaglion le nostre dottrine:
     Però che quando un gran periglio è presso,
     Difficil molto è consigliar sè stesso.

8 La mattina Ulivier per tempo è ito
     In su ’n un monte, e Guottibuoffi v’era,
     Che sempre stava la notte assentito,
     Ed ordinava le guardie ogni sera:
     Intanto, com’io dissi, è comparito
     Del re Marsilio già la prima schiera,
     E cognobbe gl’inganni de’ Pagani,
     Che cominciavon già a calare a’ piani.