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canto ventesimosettimo. 397

257 Fammi Turpin maravigliar talvolta,
     Se non ch’io veggo poi ch’e’ dice il vero,
     Quand’io ho questa istoria ben raccolta;
     Che molte madre drento al fiume Ibero
     I propri figli in quella furia stolta
     Gittâr la notte con istran pensiero,
     Chè il furor tutto ministrava e guida,
     E non si scorge altro romor, che strida.

258 Ed altre in mezzo gli gittâr del foco,
     Per non venire alle man de’ Cristiani,
     Ne’ pozzi e nelle fogne e in ogni loco;
     Altre gli uccison con lor proprie mani:
     O vendetta di Dio, qui sare’ poco
     Agguagliar la miseria de’ Troiani
     A tante afflitte e sventurate donne,
     Quando e’ mentì del gran caval Sinonne.

259 Credo che Tito con Vespasiano
     Non fêr de’ Giudei tanto, s’io non erro,
     Quanto costor di quel popol profano;
     Pensa che insino a Turpin pare sgherro;
     Qual Sagunto o Cartagin d’Affricano;
     La cosa va tra l’acqua e ’l fuoco e ’l ferro,
     E ’l fuoco par, com’io dissi, penace:
     Pigli ciascun qual de’ tre più gli piace.

260 E se alcun pur si fuggiva meschino,
     In ogni parte la morte rintoppa,
     Chè Ricciardetto, e il Danese, e Turpino
     Ed Ansuigi per tutto gualoppa.
     Intanto è ritrovato Bianciardino,
     Ch’era nascoso in un sacco di stoppa;
     Rinaldo far gli volea pure il gioco,
     Ed appiccarvi con sua mano il foco.

261 Carlo gli disse: Io lo riserbo a peggio.
     Marsilio intanto in sala era legato
     Come un can per la gola, allato al seggio
     Dov’e’ fu già da sua gente onorato;
     E non poteva ignun pigliar puleggio,
     Chè il palazzo era per tutto guardato,
     Acciò che cosa nessuna si fugga,
     Sì che la roba e la gente si strugga.