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canto ventesimottavo. 407

12 Egli aveva il capresto d’oro al collo
     E la corona de’ ribaldi in testa;
     Rinaldo ancor non si chiama satollo,
     E ’l popol rugghia con molta tempesta:
     E chi gittava la gatta e chi il pollo,
     Ed ogni volta lo imberciava a sesta:
     Non si dipigne Lucifer più brutto
     Dal capo a’ pie’, come e’ pareva tutto.

13 Fece quel carro la cerca maggiore;
     E chi si cava pattini3 e chi pianelle,
     Per vedere straziare il traditore,
     Sì che di can non si straccia più pelle:
     Tanto tumulto, strepito e romore,
     Che rimbombava insin sopra le stelle,
     Crucifigge, gridando, crucifigge;
     E ’l manigoldo tuttavia trafigge.

14 E poi che il carro al palazzo è tornato,
     Carlo ordinato avea quattro cavagli;
     E come a questi il ribaldo è legato,
     Cominciano i fanciulli a scudisciagli,
     Tanto che l’hanno alla fine squartato:
     Poi fe’ Rinaldo que’ quarti gittagli
     Per boschi, e bricche, e per balze, e per macchie
     A’ lupi, a’ cani, a’ corvi, alle cornacchie.

15 Cotal fine ebbe il maladetto Gano,
     Chè lo eterno giudicio è sempre appresso,
     Quando tu credi che sia ben lontano.
     Or forse tu, lettor, dirai adesso
     Come gli abbi creduto Carlo Mano.
     Io ti rispondo: era così permesso;
     Era nato costui per ingannarlo,
     E convenia che gli credessi Carlo.

16 Nota, che Carlo Magno era uom divino,
     E lungo tempo avea tenuto seco
     Un dotto antico chiamato Alcuino,
     Ed apparò da lui latino e greco,
     Ed ordinò lo Studio parigino;
     Or par che sia dello intelletto cieco:
     Onde alcun autor, come prudente,
     Di Ganellon non iscrive niente.