52 E così morto è il possente gigante,
E tanto al conte Orlando n’è incresciuto,
Che non facea se non pianger Morgante,
E dice con Rinaldo: Hai tu veduto
Costui, c’ha fatto tremar già Levante;
Aresti tu però giammai creduto
Che così strano il fin fussi e sì subito?
Dicea Rinaldo: Io stesso ancor ne dubito.
53 E’ mi ricorda, sendo a Montalbano,
Quel dì che noi vincemo Erminione,
Che fece cose col battaglio in mano,
Ch’erono al tutto fuor d’ogni ragione:
Di Manfredonio sai ch’ancor ridiano,
Quando e’ v’andò per riaver Dodone,
E che ravvolse Manfredonio e quello
Nel padiglion, che parve un fegatello.
54 Il dì che difendea Meridiana,
Gli vidi tanta gente intorno morta,
Che non fu cosa, al mio parere, umana.
Ma dimmi, a Babillona a quella porta
Vedestu mai però cosa sì strana?
Pensavi tu sua vita così corta?
E’ mi fe’ ricordar12 quel dì di Giove,
Quando i giganti fêr l’antiche pruove.
55 E dissi: Certo, se Morgante v’era,
Tu ti staresti ancor13, Giove, in Egitto
Con Bacco trasformato in qualche fera,
Chè costui certo t’arebbe sconfitto:
Ma non sarà tenuta cosa vera,
Da chi lo troverrà in futuro scritto;
Chè io che ’l vidi, non lo credo appena
Di questo, nè d’uccider la balena.
56 Che maladetto sia tanta sciagura:
O vita nostra debole e fallace!
Così piangean la sua disavventura.
Ma sopra tutto ad Orlando dispiace;
Ed ordinò di dargli sepoltura,
Chè spera che nel Ciel l’alma abbi pace:
E terminò mandarlo a Babillona,
Ma prima imbalsimar la sua persona.