Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/218

Da Wikisource.

eugenio anieghin 177

Già son vicini a Mosca, alla bianca Mosca dalle mille cupole impennacchiate di croci che lampeggiano al sole come folgori! O amici! Come io gioiva quando a un tratto io scopriva quell’anfiteatro di chiese, di campanili, di giardini, di palazzi! Quante volte nel mio tristo esilio, errando qua e là, io pensai a te, Mosca mia! Oh quante cose racchiuse in questo solo nome! Che significato presenta a un cuore russo!

Ecco il castello di Pietro Primo, attorniato di querce e superbo della sua antica gloria. Ivi indarno Napoleone, accecato dalla fortuna e dall’orgoglio, aspettava che la vecchia capitale gli s’inginocchiasse davanti porgendogli le chiavi del Cremlino.... No. — Mosca non gli andò incontro colla testa bassa. Non preparò per l’eroe impaziente, nè banchetti, nè regali; preparò un incendio. Dalle finestre di questo castello, l’invasore, immerso nelle sue riflessioni, contemplò le fiamme minacciose.

Addio, teatro d’illustri memorie, addio venerabile reggia! Avanti! avanti! Già le colonne delle barriere biancheggiano; già l’equipaggio s’inoltra nella Tverscaia attraverso le vie cave. Fuggono come ombre i casotti delle sentinelle, le vecchie serve, i monelli, le botteghe, i lampioni, i palazzi, i giardini; le slitte, gli orti, i mercanti, i tuguri, i contadini, i boulevards, le torri, i cosacchi, le farmacie, i magazzini di modiste, i balconi, i leoni dei portoni, e gli stormi di cornacchie svolazzanti intorno alle croci. Durò due ore intere questa corsa.

Finalmente la carrozza si fermò davanti a una casa nel vicolo di Caraton. Le nostre viaggiatrici