Pagina:Raffaello - Lettera a Leone X, 1840.djvu/44

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(6) Bella confessione è questa di Raffaele, del sommo vantaggio che la concordia, la pace, e il laudabil’ozio arrecano alle arti, e si dica pure alle lettere, e a tutte quelle egregie opere dell’umano ingegno, che si educano e crescono all’ombra de’ felici ulivi.

(7) L’ab. Francesconi, annotando questo luogo, giudica, che il restaurare di tal modo gli antichi edifizii sia fatica e spesa superflua (op. cit. a c. 107, nota (5)). Ma a noi sembra appunto il contrario: nè ci pare di vedere cosa tanto utile o dilettevole, quanto il mirare così restituire ad una immagine della prima integrità loro le insigni antiche costruzioni. Massimamente quando ciò si eseguisca, come qui Raffaello dice, «facendo quelli membri che sono ruinati, nè si veggono punto, corrispondenti a quelli che restano in piedi, e si veggono. Non molti anni dopo attendeva in Roma a compiere il pensiero di Leone X, nel modo stesso enunciato da Raffaello una eletta d’ingegni riunita sotto il nome di Accademia della Virtù. Monsignor Claudio Tolommei ci fa conoscere nelle sue lettere i lavori di questi dotti, che però mai non furono compiti nè pubblicati.

(8) Questo autore seguitato da Raffaello sembra essere stato Andrea Fulvio, che aveva già mandato in luce la sua opera delle antichità di Roma.

(9) Qui Raffaello assai bene distingue la diversità degli edificii, che sono riuniti nell’insieme, nelle grandi rovine, che volgarmente si dicono terme di Tito. Apertissimi in fatti si veggono in tal luogo i molti avanzi della casa aurea di Ne-