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una sorte migliore; ma col potere temporale dei Papi, rimasero abbandonati ad un fanatismo il quale poco a poco assunse il carattere di una vera barbarie, la quale aveva suoi precetti, le sue leggi. Nei primi secoli però del medio evo, l’odio contro gli Ebrei non salì al punto di farli considerare e trattare quasi fossero esclusi dal consorzio umano, e non mancarono neppure alcuni Papi di indole mite, i quali presero a proteggerli.

Fin dai tempi di Alessandro III (1159-85), vivevano in Roma liberi e rispettati molti Ebrei, ed in particolare medici, i quali erano, ricchi e godevano di molta fama. Beniamino di Tudela narra avere trovato a quell’epoca in Roma circa duecento Ebrei distinti, i quali vivevano della loro professione, e parecchi dei quali stavano ai servigi del Papa. Molti erano propriamente uomini pregievoli per saviezza, fra quali particolarmente il gran rabbino Daniele, ed il rabbino Dehiel ministro del Papa, giovane di bello aspetto, savio e prudente, il quale faceva parte della corte di Alessandro.

Ed è più notevole ancora che l’antipapa Anacleto II, morto nel 1138, di suo nome Pier Leone, fosse nipote di un Ebreo convertito. La sua famiglia durò vari secoli, ed appartenne alle più ragguardevoli del patriziato della città. Quel popolo, spiritoso per natura, reso più accorto ancora dalla persecuzione, rinchiuso in sè stesso, ma ardito intraprendente, pertinace, riuscì ad introdursi perfino nella corte pontificia. Mentre le donne ebree si introducevano nelle case patrizie a profetarvi il futuro, ed a vendere filtri d’amore alle dame svergonate, i loro mariti si accostarono francamente ai Papi bisognosi di danaro ed indebitati, riuscendo a diventare loro banchieri, loro medici. Sono annoverati tutti gli Ebrei medici dei Papi nell’opera di Mandosio «Degli Archiatri ponteficii» completata dal Marini, pubblicata in Roma nel 1784. Il primo di questi fu Giosuè Halorki medico dell’antipapa Benedetto XIII (1394), il quale sembra aver avuto una predilezione per gl’Israeliti. Halorki si fece più tardi bat-