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Non è meno bella di questa vista che si gode dai gradini più elevati del teatro, quella del teatro stesso ridotto a poetica rovina, e dei giardini smaltati di fiori che lo circondano. Anche ivi la semplicità dell’architettura rivela la purezza del gusto ellenico.

In alto, dove i gradini del teatro confinano colla collina, trovasi scavato un Ninfeo, ossia specie di antro pittorico, rivestito tutto di muschio e di licheni, dal quale sgorga una fonte. Mi ricordò la grotta della ninfa Egeria. Stanno allato a questa due altre grotte di minore dimensione, e sonvi d’ordinario doune che lavano i loro panni nella fonte, e che col loro canto malinconico accrescono la mestizia del paesaggio. A destra si apre la strada dei sepolcri, ed a sinistra corre un braccio dell’antico acquedotto di Tycha, il quale da moto ad un molino, per cui questa località ha nome di Molini di Galerme. La parte dell’acquedotto moderno, sostenuta da archi, che corre per un certo tratto fuor di terra, contribuisce dessa pure alla bellezza del colpo d’occhio. Nelle rimanenti parti l’acqua scorre in canali sotterranei, opera probabilmente dei prigionieri Cartaginesi; e non meno grandiosa della cloaca massima di Roma, o dell’emissario di Albano. In alcuni punti il canale trovasi scoperto, e vedesi l’acqua che scende dai monti a distanza di sei miglia, correre rapida e gorgogliante.

A mezzodì e levante del teatro, vedesi in un bosco di melagrani un edificio in discreto stato di conservazione, l’anfiteatro di Siracusa più vasto di quelli di Verona, di Pola e di Pompei, misurando duecento sessanta tre palmi nel suo maggiore asse, e cento cinquantaquattro nel minore. È costrutto per la maggior parte in pietra, ed alle quattro estremità dei due assi trovansi quattro porte, per le quattro parti della città. Serra di Falco fece sgombrare questo anfiteatro nel 1840 dalle macerie; le file dei gradini, e le mura trovansi in alcuni punti rovinate, ma il complesso dell’edificio, come già notai, trovasi in discreto stato di conservazione. Siccome i Greci non si dilettavano

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 22*