Pagina:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu/198

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188 iii . i rimatori pisani

Tant’è savere in lei con grande onore.
e gran beltà ch’affina canoscenza,
20ed umiltà ch’adorna la piagenza,
che non si cred’ella che per amore
ma’ metta sua vertù a mia potenza,
a voler prender loco in tale core,
che non si vòle a compagna valore:
25ha ’n tale core Amor sua convenenza.
Certo non ha valenza,
ne gentilezza, come dicen manti,
che vòle usare avanti
ignoranza ch’entrare in cor gentile:
30troppo tornerà a vile — gran carezza,
ed in bassanza la sua grande altezza.
Ben doveriano erranti
andar li boni, poi che ’n sconoscenza
tornano Amor, che fu ior mantenenza.
35Però di questo tanto mi dispero,
ch’eo no so’ bon per nessuna mainerà,
e le mie pene nente m’alegera,
e fami stare in tal loco crudero
.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   
40.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   
.   .   .   .   .   .   che sovente vi fero,
com’a nemico m’è mostrata cera;
che, meglio che non era
in qua dirieto Amor gentile e puro,
45per certo m’asicuro
ch’egli seria, se in madonna intrasse,
ed in gio’ ritornasse — le gran pene
che lo meo cor sostene.
Ed eo altro non curo
50se non di lei servir, ch’è luce e spera,
che ’n tutto de l’amor no mi dispera.
Entra in madonna. Amor, ch’è’n gentil loco
e partiti da volontà non fina.