Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
analisi critiche e rassegne | 199 |
Il diverso grado d’importanza dato alla «previsione» e alle questioni che ad essa si connettono, si presterebbe assai più che qualunque altro carattere a servir di base ad una classificazione naturale dei vari sistemi filosofici che, attraverso i libri e gli articoli di rivista, vanno contendendosi l’egemonia del pensiero contemporaneo.
Come un caso estremo della tendenza che chiamerei anti-previsionista si potrebbe citare quello di Benedetto Croce, che, in una sua recente, e un po’ troppo ardita, scorreria nel campo previsionista — provocata appunto dalla pubblicazione del volume di cui qui si parla — è arrivato al punto di asserire che «ciò che chiamiamo prevedere non è altro che un modo immaginoso ed enfatico per esprimere, non già il futuro, di cui non sappiamo e non possiamo sapere nulla, e che non è materia di conoscenza, ma il presente: non è dunque un prevedere ma un vedere». (Critica, Maggio 1907, pag. 235).
All’estremo opposto si trovano invece i «pragmatisti» per i quali — come, per esempio, per il Papini (V. il Saggio sulla Previsione da lui pubblicato qualche anno fa negli Atti della Società d’Antropologia di Firenze) — il prevedere è l’unico e supremo scopo di ogni specie d’attività mentale, e per i quali l'indicazione di ciò che si prevede è la misura non soltanto di ciò che si sa ma perfino di ciò che si crede, e costituisce l’unico modo, non solo di provare la verità, ma anche di determinare il significato di qualunque affermazione o dottrina.
Una posizione in certo modo intermedia tra questi due estremi è quella occupata da quei positivisti che, in perfetta conformità collo spirito della dottrina Comtiana, considerano la maggiore o minore portata, o precisione, o certezza delle previsioni, proprie a ogni singola scienza, come il sintomo più caratteristico e il criterio più sicuro per giudicare del suo grado di sviluppo e della sua maggiore o minore distanza dallo «stato di perfezione», raggiunto ora soltanto dalle scienze matematiche e astronomiche.
È appunto tra questi positivisti che si schiera l’autore del presente volume, dedicato in particolare allo studio delle questioni riguardanti i limiti e i fondamenti della previsione nel campo dei fatti sociali.
Di tali questioni un gruppo importante, da lui specialmente considerato, è costituito da quelle che si connettono alla distinzione tra le previsioni propriamente dette — affermanti sempli-