Pagina:Rivista di cavalleria (Volume IX, 1902).djvu/513

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III.

Una replica.

Nella dispensa di Marzo, come premessa agli articoli del colonnello Sartirana e del capitano Filippini, intorno al provvisorio 1o tomo del regolamento d’esercizi, la Rivista invitava gli appassionati dell’arma a «scendere nel cortese agone ed a manifestare le loro idee sul tanto importante argomento». Sia dunque a me, che nell’agone era già sceso, permessa una breve replica per difendere quei principi, di cui ho cercato ripetutamente di dimostrare la verità, ma che, lo riconosco, possono essere resi inconfutabili soltanto dai fatti.

Io sostengo che seguendoli, e me ne appello ai colleghi dell’arma che me li videro applicare, si può ottenere che i soldati vadano bene in campagna e siano nel tempo stesso pugnaci, appunto come desiderano i miei egregi contradditori. L’essenziale sta nel volerli comprendere nel loro giusto significato senza talvolta sofisticare sulle parole.

Ed anzi tutto un dubbio da chiarire. Si legge nel primo degli articoli da me accennati «Un generale che faceva parte della commissione mi diceva: non si potrà asserire d’aver raggiunto la perfezione ma un passo avanti lo si sarà fatto certo». Ora io chiedo: come s’intende questo passo in avanti? In qual senso, secondo questi principi, se ne potrebbe fare un altro per raggiungere od avvicinarsi alla mèta? È questo che si vorrebbe sapere perchè in fatto di principî lo scrittore non manifesta convinzioni personali e non si schiera nè da una parte nè dall’altra.

Ma il dubbio è presto chiarito. Quel generale, e lo dico perchè credo di conoscere le sue idee, così affermava perchè il passo avanti fu fatto su una buona via, secondo sani principî, da me seguiti e propugnati altre volte, ed ai quali io ero stato dallo stesso generale, allora colonnello, precedentemente indirizzato. Si continui pure per questa via e non si tornerà certamente indietro, ma ci si avvicinerà alla mèta.

Quale sia questo principio (§ 241), quale la via, io non starò ora a ripetere; rimando i lettori di buona volontà alla mia prima pubblicazione sull’equitazione di campagna, dove il principio è spiegato, la via tracciata, e dove è detto perchè si debba seguire questo principio.

E al medesimo articolo rimando anche l’altro mio contraddittore perchè rettifichi una sua affermazione. Mi si è apposto che io miri soltanto a far andar bene il soldato in campagna, e non mi curi d’insegnargli a ben misurarsi con l’avversario.

Chi ha detto ciò? Non è forse l’uno e l’altro scopo che io intendo si consegua quando asserisco che usando il sistema di assecondare e non contrariare il cavallo nei suoi equilibri e nelle sue posizioni naturali si ottiene di andar bene in campagna e di avere i cavalli docili e volenterosi, e sopratutto ubbidienti ed alla mano?