Rivista di Cavalleria - Volume VII/I/Per l'equitazione di campagna

Da Wikisource.
Federico Caprilli

Per l'equitazione di campagna ../Metodo di avanscoperta - Presente o Passato? ../La Merca nella campagna romana IncludiIntestazione 5 gennaio 2024 100% Da definire

I - Metodo di avanscoperta - Presente o Passato? I - La Merca nella campagna romana
[p. 59 modifica]
PER L’EQUITAZIONE DI CAMPAGNA




Principi generali favorevoli o contrari allo sviluppo di una buona equitazione militare.

Lo scopo dell’equitazione militare, a mio avviso, è stato sempre e sarà ogni giorno di più, per ragioni facili a comprendersi, quello di aver uomini e cavalli istruiti nel minor tempo possibile, e d’ottenere da questi ultimi la massima resistenza e la massima velocità congiunte a buona volontà ed ottimo carattere, e ciò col minor spreco possibile di materiale.

Il cavallo militare deve essere essenzialmente abituato alla campagna, poichè è in essa che la cavalleria è destinata a compiere in guerra la sua azione: il terreno accidentato e vario deve essere famigliare tanto al cavaliere quanto al cavallo, perchè possano entrambi conservare davanti alle difficoltà la calma opportuna, ed acquistare quell’arditezza che solo l’esercizio razionale e continuato può dare.

Dunque andar bene in campagna — ecco lo scopo della equitazione militare.

Ed il nostro regolamento lo intende e lo dice in poche pagine che esso pone in fine del volume dell’istruzione a cavallo; senonchè, queste pagine, che hanno di per sè stesse un pregio infinito, sono esse in armonia con tutto il resto del libro nel quale sono poste? Mi sia concesso di esprimere qualche dubbio.

Infatti sembra che esso miri a formare un cavallo diverso da quello che è naturalmente. Lo vuole cioè con equilibrio [p. 60 modifica]modificato, con posizione di testa modificata, snodato maggiormente in certe articolazioni; e ciò in base al concetto che solo un cavallo equilibrato sul centro di gravità, con testa verticale, e snodato nelle prime vertebre possa servir bene al soldato. Il fatto stesso che nei reggimenti non vi è un cavallo che corrisponda perfettamente a tali requisiti, e che tuttavia alcuni cavalli quali li abbiamo servono benissimo, dimostrerebbe che i metodi suggeriti dal regolamento sono di applicazione troppo difficile e, nello stesso tempo, che sono superflui. Vedremo, del resto, come l’andar male di tanti cavalli dipenda appunto dal volere ad ogni costo applicare ad essi esattamente certi metodi anche quando la loro costituzione non lo comporti, o vi facciano ostacolo altre difficoltà.

Io credo invece che si debba tendere ad avere il cavallo quale è in natura con naturale equilibrio, con naturale posizione di testa, poichè, se vi è bisogno di qualche modificazione di equilibrio, vedremo come il cavallo la possa compiere da sè durante il lavoro, quando gli sia lasciata l’opportuna libertà.

A queste idee fondamentali e costanti io credo debbano informarsi tutti i principii in fatto d’equitazione militare, perchè mi sono convinto che il cavallo quale è in natura, in fatto di posizione e di equilibrii, serve benissimo all’uomo e si adatta facilmente ad ubbidirgli e ad assoggettarglisi.

Le due equitazioni di cavallerizza e di campagna, sono, a mio credere, opposte; si escludono e si distruggono l’una coll’altra. Ciò avviene tanto più nei reggimenti, ove l’uso delle cavallerizze e di tanti altri dettati di una equitazione che ha troppe attinenze e derivazioni dall’alta scuola danno mediocri risultati; infatti, lasciando stare tutto il resto, sono d’una difficoltà troppo grande perchè possano essere bene applicati dai soldati.

Esaminiamo ora quali siano le doti che si richiedono al cavaliere ed al cavallo di campagna, per vedere se proprio non sia possibile di ottenerle anche senza applicare rigorosamente i precetti ora accennati.

[p. 61 modifica]

Io chiamo cavallo di campagna quello che è di buona indole, tranquillo e fidente nel cavaliere, veloce e resistente, abituato a galoppare a lungo in qualunque terreno, calmo ed attento nelle difficoltà, prontamente arrendevole alla volontà del cavaliere. Questo è il cavallo di campagna, e questo è il cavallo militare.

Lunghi anni di pratica e di continua osservazione mi hanno convinto che il cavallo acquista in generale senza sforzi le qualità che ho poc’anzi enumerate, qualora il cavaliere lo sottoponga ad un esercizio razionale e continuo, durante il quale egli si studi di rendere al cavallo meno disgustose che può le proprie azioni, e di non contrariarlo nello sviluppo naturale delle sue attitudini ed energie. Con ciò non intendo dire che si debba lasciar fare al cavallo ciò che vuole; lo si deve invece persuadere con fermezza ed energia, se occorre, a far ciò che vuole il cavaliere, lasciandogli però piena libertà di servirsi e di disporre come meglio gli conviene dei suoi equilibrii e delle sue forze. A questo principio fondamentale e costante si informano tutte le regole pratiche di equitazione ch’io esporrò in seguito.

Libero così da ogni altra preoccupazione, il cavallo presta tutta la sua attenzione a ciò che deve fare, e gradatamente apprende a meglio impiegare le proprie forze e a perfezionarsi. Invece, quando il cavallo è tenuto in soggezione dal cavaliere e ne soffre l’azione, spia incessantemente il pretesto e l’occasione per sottrarvisi, ed a ciò rivolge ogni suo studio, distraendosi, e distogliendosi dal lavoro che deve compiere. Ricordiamo che il cavallo si sottomette da sè naturalmente, senza che il cavaliere cerchi di limitargli l’impiego delle forze e di tenerlo in determinate posizioni ed equilibri! E mettiamoci in mente che quando un cavallo oppone difficoltà, è irrequieto, scappa, si pianta, o si difende, ciò fa quasi sempre per sottrarsi ad un dolore che gli procura l’azione del cavaliere o per la tema di esso. Questo dolore reale o questa paura di dolore, altra volta sentito, assai spesso fa sì che il cavallo reagisca, oppure che, [p. 62 modifica]pur sottomettendosi, non impieghi le sue forze nel modo naturale, compiendo così uno sforzo superfluo e dannoso.

Quando studieremo il salto, avremo la prova più evidente di questa verità. Il cavallo che durante il salto subisce uno strappone, o meglio, non riceve la ceduta per aria, prova un dolore alla bocca ed alle reni. Per evitarlo, o si rifiuta, o impara a saltare senza estensione di collo, facendo il così detto salto su quattro piedi o salto a campanile; oltre a ciò va all’ostacolo disorientato e con nessuna volontà, e pone ogni sua attenzione a cogliere il momento di piantarsi o di scartare; altra volta invece si butta sulla mano e si scaraventa disperato contro l’ostacolo.

Se il cavaliere dà per sistema l’aiuto sotto il salto, il cavallo, per paura di quest’azione, impara a precipitare.

Un altro esempio lo abbiamo nel cavallo che, abituato ad essere tirato nella salita, vi si getta contro furioso, cercando di vincere la mano che gli sta per dare un dolore. Sovente il cavallo che si mette a volate e che scappa, lo fa per reagire alla mano. — Infatti cessano le volate quando cessa la tensione delle redini — ed un cavallo abituato a scappare in morso, bene spesso montato in filetto, con mano leggera e non infastidito dalle gambe, non scappa.

I fatti che dimostrano la verità inconfutabile di quanto io asserisco, sono forse più numerosi di quello che si crede; dunque prima regola di una buona equitazione è quella di ridurre, semplificare e qualche volta anche se è possibile eliminare l’azione del cavaliere. — Quando si adoprano le mani per far girare e trattenere il cavallo, e le gambe per farlo avanzare e infondergli risolutezza e decisione, basta! — Se al momento opportuno, il cavaliere fa una di questa azioni e rimane poi passivo e non disturba il cavallo mentre lavora, otterrà splendidi risultati e farà bene; farà male in caso contrario.

Ricordiamoci che a cavallo fare e tirare è assai facile e troppo spesso nocivo — assai difficile, e quasi sempre utile, saper lasciar fare il cavallo e saper cedere in qualunque circostanza; e questo essenzialmente si deve apprendere e si deve insegnare. [p. 63 modifica]Chi è capace di cedere e sempre saprà tirare a tempo debito e nella giusta misura.

Or bene, a me sembra che il nostro regolamento non affermi con sufficiente chiarezza le idee ed i principii che ho testè accennati; esso, volendo conservare troppi precetti di una equitazione raffinata e ormai antiquata non ne dà abbastanza per quella che chiamerei moderna perchè più consentanea alle attuali esigenze Ne consegue così un inevitabile miscuglio di vecchio e di nuovo con prevalenza del primo sul secondo e con danno della interpretazione e della applicazione delle prescrizioni regolamentari, danno che si riflette sui risultati dell’istruzione e sopratutto sulle condizioni dei cavalli.

Se al cavallo si richiede un lavoro naturale (quello di campagna) e non un lavoro artificiale (quello di maneggio) esso potrà assai meglio servirsi dei suoi impulsi, dei suoi istinti e dei suoi equilibri naturali. L’esercizio stesso ed il lavoro così eseguito faranno modificare tali equilibri, se ne sarà il caso, e la cosa verrà da sè naturalmente senza che intervenga l’azione del cavaliere, che in generale non potrebbe esser fatta con giusto criterio e senza indispettire l’animale contrariandolo.

Se si pensasse a queste cose non si giungerebbe certo ad adottare il piego, la riunione, le andature laterali, ecc., nè si prescriverebbe il morso come imboccatura normale per tutti i cavalli e per tutte le circostanze, imponendone talvolta l’uso esclusivo (a due redini) anche se proprio allora il cavallo avesse bisogno per andar bene d’esser preso con leggerezza e di non essere infastidito in bocca.

Io ben convengo che in questi ultimi tempi si è verificata nell’arma nostra una forte corrente intesa a nuovo indirizzo: ma però i mezzi impiegati ad ottenerlo rimangono insufficienti o contradditorii.

Io mi meraviglio che, inteso questo scopo, ed ammesso che l’equitazione di campagna sia il fine ultimo della cavalleria, si seguiti a voler istruire il soldato con una equitazione che ha un princìpio diametralmente opposto a quello cui deve informarsi la scuola di campagna stessa — e si consideri [p. 64 modifica]quest’ultima come un corollario necessario sì, ma sempre come un corollario dell’equitazione di maneggio.

Se voi ammettete la necessità per la cavalleria di essere istruita per andare in campagna, bisogna bandire molti dei metodi e dei principii attuali: con essi, applicati dai soldati, se non viziate il cavallo (caso generale) gli date un equilibrio ed una posizione che non son quelli che gli servono per lavorare all’aperto: oltre a ciò date al cavaliere un assetto che non è quello richiesto per cavalcare in campagna formando a questi un falso criterio del lavoro che in cavalleria deve compiere il cavallo.

Mi si permetta ora che dopo aver parlato in astratto di principii e di metodi, per essere più chiaro, lo venga al caso concreto, e che, lasciando stare il cavaliere su cui anche avrei molto da dire pigli ad esaminare un cavallo istruito secondo le norme del regolamento. Questo cavallo o tosto o tardi dovrà andare in maneggio a modificare il suo equilibrio e a snodare la attaccatura della testa al collo, ad impararvi la riunione, le andature laterali, le volte ecc., e n’uscirà bene o male istruito. Se è bene istruito esso avrà andature rilevate, sarà facile a riunirsi, si appoggerà mal volentieri alla mano, e tutto ciò che è già difetto di per sè per un cavallo da campagna, lo sarà tanto di più se si consideri che dell’energia che consuma il cavallo per percorrere un dato tratto di strada, gran parte è assorbita dallo sforzo che fa nel rilevarsi e nel modificare il suo appiombo naturale.

Ma dopo converrà pure impartire a questo cavallo anche l’istruzione di campagna la quale, se bene ultimata, gli avrà fatto dimenticare, disavvezzandolo, quello che con tanto spreco di fatiche gli si è insegnato in maneggio.

Dunque nella migliore delle ipotesi si è fatto un lavoro per poi disfarlo. Che se il cavallo, come è possibile, uscirà dal maneggio viziato, allora sarà difficilissimo farlo diventare un buon cavallo di campagna perchè gli manca il requisito primo ed essenziale che è il buon carattere, la fiducia e la sottomissione al cavaliere. È doloroso davvero pensare al numero di [p. 65 modifica]cavalli che i nostri soldati rendono viziosi e talvolta inetti a fare un buon servizio per colpa solo del genere di equitazione che viene loro insegnata!

E le cose non possono andare che in questa maniera. Infatti l’equitazione di maneggio presenta tali e tante difficoltà e richiede un così fino tatto che è impossibile che un soldato, data anche la brevità della ferma e la molteplicità delle altre istruzioni, riesca ad apprenderne ed applicarne bene i principii. Concludendo: il principio ed il metodo ch’io pongo a base d’una buona equitazione militare ha anche il pregio di una grandissima semplicità. La ragione, la pratica e l’osservazione continua mi hanno convinto che esso è il solo che si possa adottare per andar bene in campagna.

Lo stesso scopo non si ottiene con altri metodi.

1° Perchè anche se ben eseguiti, non preparano sempre i cavalli alla campagna, ma facilmente ve li indispongono.
2° Perchè non sviluppano, anzi diminuiscono nei cavalli la volontà di avanzare, la velocità e la resistenza.
3° Perchè, essendo troppo difficili non possono essere ben appresi dai soldati, i quali, applicandoli male vizieranno i cavalli.
4° Perchè la loro cattiva applicazione fa in modo che non sia ottenuto lo scopo precipuo che il regolamento giustamente proclama: quello cioè d’avere il cavallo alla mano e d’esser in ogni istante padrone di esso. Ciò si spiega facilmente se si pensi che a tante azioni rigide, e mal combinate del soldato, il cavallo punta, s’indurisce e talvolta reagisce; di più, un cavallo alla mano in maneggio non è alla mano in campagna, anzi in essa sarà spesso fuori mano, mentre è in campagna essenzialmente che il soldato deve essere padrone del cavallo.

Mi rimane ora da dire una parola sulla credenza di molti che il lavoro in campagna possa riuscire assai dannoso per la conservazione del cavallo. Ciò non è assolutamente. In primo luogo non è detto che per istruire i cavalli e i cavalieri alla campagna si debbano fare cose straordinarie ed un lavoro faticoso. Basta un esercizio continuo e giornaliero di piccole [p. 66 modifica]difficoltà, piccoli passaggi e piccoli galoppi, e questo lavoro ben regolato, e proporzionato alla poca razione che hanno i nostri cavalli, non solo non nuoce, ma anzi giova alla conservazione del buon cavallo militare.

In ogni cosa, e nell’equitazione militare specialmente sono necessarie la lunga preparazione e l’abitudine. Ciò che è sommamente dannoso pel materiale e pericoloso e non proficuo pei cavalieri, è il richiedere repentinamente un lavoro in campagna da cavalli abituati al maneggio od alle piazze d’armi, e montati ed istruiti senza nessun criterio e principio relativamente al lavoro del cavallo all’aperto.




Norme intorno al metodo per l’istruzione preliminare dei cavalli e dei cavalieri alla campagna.

Abbiamo visto come per abituare i cavalli alla campagna senza rovinarli e renderli di cattivo umore, si debba approfittare sempre degli istinti naturali dell’animale, assecondarne i movimenti e le andature, e produrgli il minor fastidio possibile sulla bocca, sulle reni e sul costato. Devesi abolire tutto ciò che è piego, posizioni ed equilibrii forzati, tutto ciò che è azione di gambe, all’infuori di quanto è necessario per spingere innanzi il cavallo.

Di tutto questo il soldato non deve mai sentir parlare, in primo luogo perchè non è in grado di poterlo intendere nè di poterlo far bene, ed in secondo luogo perchè non si faccia un falso criterio del lavoro che è destinato a compiere il cavallo e del come lo deve compiere.

Con ciò si otterrà un duplice scopo: si diminuirà di molto o del tutto il numero dei cavalli viziosi che vi sono negli squadroni, e, semplificando l’istruzione, si avranno più presto gli uomini in grado di entrare nelle righe. [p. 67 modifica]

Per conseguenza non si avranno più cavalieri che rovinino i cavalli per voler da essi pretendere un lavoro che non sono in grado di poter richiedere e che, anche ben fatto e richiesto, apporta nessun vantaggio, ma anzi un danno al lavoro vero che è destinato a compiere il cavallo.

Io vorrei che tutti fossero ben persuasi di questo e che pensassero che quanto asserisco si basa sopra un principio che la ragione e la lunga pratica a me hanno dimostrato vero e la cui verità ognuno può provare, volendo, per conto proprio.

Questo principio si è che il cavallo coll’esercizio razionale durante il quale gli sia permesso di equilibrarsi come vuole e non gli si arrechi nessun dolore inutile, sviluppa in modo convenientissimo e con immensi profitti le sue attitudini, e diventa docile e sottomesso alle richieste del cavaliere.

Ciò posto, vediamo quale sia l’istruzione da impartirsi ad un soldato e come essa si debba semplificare.

Si farà subito montare in sella e staffe (e non in coperta) per rendere tutto fin da principio, anzi specialmente in principio, il più facile possibile.

Per insegnare a montare e smontare da cavallo si dirà di imitare nel movimento qualcuno che lo sappia fare. Una volta a cavallo si curerà che la recluta tenga le ginocchia ferme contro i quartieri, e che gli staffili siano lunghi tanto da permettere al cavaliere di appoggiare sempre comodamente l’incavo del piede sulla panca della staffa (sulle strade al passo ed al trotto, per far riposare il piede, sarà anche permesso di tenervi solo la punta). Se gli staffili sono corti più del bisogno, si ha un assetto molte volte poco sicuro, se troppo lunghi lo stesso, con l’aggravante che il cavaliere per cercare con il piede la staffa, e di ciò preoccupandosi viene ad avere un cattivo equilibrio, e le ginocchia, e le gambe, e quindi tutto il resto del corpo, poco fermo.

Si ricordi che il dare una giusta staffatura è uno dei primi requisiti perchè l’istruttore possa ottenere dagli allievi fermezza in sella ed assetto sicuro. [p. 68 modifica]

Si curerà, specialmente in principio, di far poche correzioni riguardo alla posizione affinchè il cavaliere non prenda l’abitudine di irrigidirsi, e nel richiedere la posizione si dovrà tener calcolo della costruzione della recluta. Le redini saranno sempre tenute una o due per mano, o tutte e quattro riunite. Il montare a quattro redini come il regolamento descrive, credo sia una delle ragioni principali per cui il soldato non riesce a guidar bene il cavallo, ed è da ricercarsi in esso la causa per la quale negli squadroni abbondano i cavalli indecisi e restii.

Infatti, premesso che il cavallo è naturalmente invitato a girare dalla redine interna, e che gira quando l’esterna è ceduta di altrettanto, che cosa accade a quattro redini divise? Che il soldato sposta le mani a sinistra per girare a sinistra, e a destra per girare a destra, ed in questo modo viene a tirare la redine opposta alla parte verso cui vuol far girare il cavallo. Non sarebbe dunque più giusto e più semplice di fargli tenere due redini per mano, oppure tutte in una mano, insegnandogli a servirsi dell’altra per tirare le redini destre o sinistre, perchè possa poi farlo anche avendo le armi impugnate? Insomma il cavaliere dovrà porsi ben in mente ed imparar macchinalmente a girare a destra tirando le redini destre e cedendo le sinistre e viceversa; qualche cavallo indeciso a rispondere a tale chiamata, sarà costretto a girare avvicinandogli la gamba interna, ed anche, se occorre, lo sperone.

Così dovrà girare il cavaliere sempre, anche quando ha le armi alla mano, poichè allora se con una mano sola non riesce a far sentire quanto abbisogna l’azione della redine interna, porterà la mano destra, (anche se impugni la lancia o la sciabola) sulla redine che gli occorre, per servirsene in quell’istante come sopra ho detto.

Mentre il cavaliere impara ad equilibrarsi alle varie andature e prende consistenza in sella, l’istruttore insegnerà che le mani debbono essere tenute naturalmente ed il più possibile vicine e ferme lateralmente al garrese, e che in tutti i movimenti, e nelle reazioni che il cavaliere riceve, esse debbono [p. 69 modifica]sempre mantenersi basse e pronte a cedere in direzione della bocca, per permettere al cavallo di prendere la posizione di collo che più gli conviene, senza ricevere un urto sulle barre, ma avendo sempre lo stesso leggerissimo appoggio. Questa è la cosa più importante e nello stesso tempo più difficile ad essere fatta sempre e bene, e su di essa bisogna che l’istruttore non si stanchi di insistere fin da principio.

Questa prima istruzione delle reclute si farà in cavallerizza per una quindicina di giorni finchè non vi sia più alcun pericolo a portarle fuori.

In questo tempo esse saranno tenute il più possibile a volontà, prima ad una mano, poi a tutte due le mani, perchè siano costrette a girare il proprio cavallo ed incominci subito ad infiltrarsi in esse l’idea della giusta azione della mano sulla bocca del cavallo.

Dopo pochi giorni che il cavaliere monta a cavallo, si comincierà a farlo girare su di un piccolissimo ostacolo mobile e gradatamente elevabile fino a cinquanta o sessanta centimetri.

Questo esercizio è l’unico che, fatto con progressione, (senza che nessun altro lo rimpiazzi anche lontanamente) dia franchezza ai cavalieri e insegni loro istintivamente a prendere l’equilibrio naturale anche nelle azioni improvvise che può fare il cavallo, convincendoli, nel tempo stesso, come la bocca non debba mai ritenersi come un punto d’appoggio per stare a cavallo. L’istruttore non curerà per nulla d’esercitare a trottare di scuola, od al più, lo potrà fare qualche volta facendo nel tempo stesso sollevare le staffe ed eseguire un po’ di ginnastica, la quale sarà diretta ad impedire l’irrigidimento che proviene dall’uso del trotto di scuola e del montare senza staffe.

Dunque le reclute saranno tenute circa quindici giorni in maneggio dove si faranno montare in sella, colle staffe, alle diverse andature, e si insegnerà loro a far girare, far avanzare, trattenere e fermare il cavallo.

Saranno tenute sempre a volontà tranne che nei primi due o tre giorni in cui sarà conveniente metterle tutte dietro ad un cavaliere esperto. Si tenga presente che i movimenti in [p. 70 modifica]sezione sono da evitarsi il più possibile, come quelli che affaticano inutilmente il cavallo senza che se ne possa ottenere un utile risultato. I cavalieri infatti non si rendono padroni di andare dove vogliono poichè i cavalli finiscono coll’ubbidire ai comandi dell’istruttore anzichè alla volontà di chi li monta.

Si pretenda che le redini siano tenute lunghe tanto da permettere al cavallo di prendere coll’incollatura la posizione che più gli aggrada, ed in modo che sia sempre piccolissima la pressione del ferro sulla bocca. Le gambe non saranno mai impiegate se non per decidere il cavallo ad avanzare, o, in certi casi, per aiutarlo e costringerlo a girare: le mani, impiegate nel girare e nel trattenere, eserciteranno quanto più leggermente è possibile la loro azione. Dovrassi fin da questo primo periodo pretendere che il cavaliere inviti il cavallo ad avanzare con aiuti leggeri e gradatamente crescenti finchè il cavallo prenda l’andatura richiesta, ma nello stesso tempo si incammini tranquillo e con lenta cadenza.

Si ricordi che gli aiuti forti ed improvvisi indispongono il cavallo e lo costringono a partenze precipitate che sono dannose sempre, poichè nelle righe, specialmente, ed anche nelle frotte, sono sempre seguite da fermate e strapponi funesti per la bocca e per le reni. Tutto questo, soltanto, sarà insegnato in maneggio, e questo si continuerà a pretendere fuori nello svolgimento dell’istruzione all’aperto.

Quando si è ottenuto che un soldato abbia appreso questi pochi e semplici principî e li applichi per bene, si è sicuri di avere un buon cavaliere ed un cavallo di ottimo carattere volenteroso e deciso.

L’applicazione delle regole che ho esposte, assai semplice in casi normali, a moderata andatura ed in facile terreno, va ricordata anche a veloce andatura ed in terreno vario, poichè accade spesso che il cavaliere perda l’assetto, e sia quindi portato ad attaccarsi con le mani e con le gambe; inoltre che perdendo la calma, invece di restare fermo e passivo, si affanni a voler fare qualche cosa, per paura che il cavallo non sappia fare, o non faccia abbastanza. [p. 71 modifica]

Questi difetti si perdono solo col graduale continuo e ben diretto esercizio in campagna: qualunque regola teorica ed assoluta in proposito, che sia diversa da quelle poche che ho esposte in principio, se non è dannosa, è vana.

Il cavaliere di campagna fortifica il suo assetto con l’esercizio all’aperto, poichè quivi impara come meglio deve regolare il suo equilibrio per esser fermo nelle diverse azioni e posizioni che prende il cavallo, e non si fortifica, come è generale credenza, con il lungo esercizio senza staffe.

Infatti questo irrigidisce il soldato e gli insegna a fare della forza fuori luogo, mentre invece il segreto dell’esser fermo a cavallo è quello di essere elastico e di saper fare forza solo a suo tempo. Di più l’equilibrio del cavaliere senza staffe è completamente diverso da quello che deve avere colle staffe, ed infine il cavaliere deve apprender bene a fare un giusto uso delle staffe per non dare talvolta degli urti sulla schiena al cavallo, e per potersi alleggerire.

Dunque se l’esercizio senza staffe in certi casi speciali e adoperato con molta moderazione può essere utile, molte volte è non solo inutile, ma dannoso.

Il cavaliere lo si fa con l’esercizio e con la naturale progressione, cercando di diminuirgli e non di aumentargli le difficoltà. E bisogna che durante l’esercizio l’istruttore ponga gran cura nel combattere la rigidezza, sotto qualunque aspetto ed in qualunque parte del corpo si manifesti, poichè essa finisce sempre per propagarsi alle mani, producendo così un’azione dolorosa sulla bocca del cavallo che si trasmette alle reni.

[p. 156 modifica]


Norme per cavalcare in campagna, superando le difficoltà del terreno.

In una quindicina di giorni di ben inteso lavoro di cavallerizza, l’istruttore può mettere le reclute a cavallo in guisa che non riesca pericoloso portarle all'aperto. Esso avrà loro insegnato in questo periodo preparatorio a girare, trattenere, fermare ed avanzare, nel modo e colle norme stabilite.

Dopo questo periodo potrà portare le reclute all’aperto, per i primi tempi in terreno piano ed unito. Quivi metterà i cavalieri a frotte ed a volontà, ed avrà somma cura di distaccare sovente ciascun cavaliere dal gruppo. È giunto ora il momento di far comprendere al soldato come deve contenersi perchè il cavallo lavori bene in campagna.

E mi trovo a dover ancora una volta ripetere ciò che ho già detto e ripetuto: il cavallo lavora bene e volentieri quando il cavaliere si studia di rendergli meno disgustose che può lo proprie azioni, e, pur esigendo che sia sottomesso alla sua volontà, lo lascia completamente libero nell’impiego delle forze e degli equilibri.

L’istruttore farà quindi eseguire delle trottate e dei piccoli galoppi usando, nella durata, la voluta progressione, pretendendo che ciascuno guidi il proprio cavallo e lo faccia camminare diritto conservando la cadenza ed impiegando sempre nel girare il metodo che ho già indicato. E sopratutto a questo [p. 157 modifica]farà attenzione, e non permetterà mai che per mantener dritto il cavallo che devìa si spostino i pugni lateralmente. Tirare una redine e cedere l’altra ecco ciò che non deve stancarsi mai di ripetere. Esigerà pure che, come s’è insegnato, le mani siano tenute basse e ferme, e le redini piuttosto lunghe, con appoggio leggerissimo, i pugni sempre pronti a cedere e ad avanzarsi quando il cavallo mostra di voler distendere maggiormente la testa e l’incollatura. Il busto sarà tenuto fermo e d’appiombo quanto è possibile (leggerissimamente inclinato innanzi nei galoppi), le gamba ferme e non molto aderenti al costato, il piede tutto introdotto nella staffa. Sarà infine sempre usato il trotto leggero.

Lo scopo di questa prima parte di istruzione all’aperto è di far apprendere ai cavalieri a stare calmi e a conservare la cadenza alle diverse andature, a lasciar lavorare i cavalli coll’incollatura distesa, conservando un leggerissimo appoggio e sapendo cedere ed avanzare le mani quando il cavallo mostri di volere una maggior estensione.

Questa cosa si verifica sempre quando il cavallo, cambiando equilibrio ha bisogno di spostare il centro di gravità in avanti, ed è talvolta (unito al portarsi avanti delle orecchie) un movimento di attenzione.

Quest’ultimo caso accade in modo particolare quando il cavallo guarda un punto del terreno su cui deve mettere il piede.

Tal movimento d’attenzione non deve essere contrariato, ma anzi favorito; fa duopo però stare attenti perchè esso precede qualche volta l’indecisione e la mala voglia di passare in quel dato punto; bisognerà allora essere pronti ad aiutare colle gambe senza trattenere minimamente colle mani per prevenire una piantata, e essere altresì preparati coll’azione di queste ad impedire uno scarto; comunque, l’estensione del collo va sempre concessa, perchè serve al cavallo a poter guardare, e se il cavallo non ha guardato non passa.

L’atteggiamento d’incollatura distesa parallelamente al terreno, oltre ad essere ulilissimo, perchè con esso il cavallo [p. 158 modifica]presta maggior attenzione e guarda meglio il terreno sul quale deve passare, è di sommo vantaggio anche per un’altra ragione. Esso infatti permette al cavallo di inarcare le reni e di sgravare queste ed i garretti di una parte del peso, e, essendo le reni ed i garretti quelli che fanno nel lavoro la fatica maggiore è bene alleggerirli e risparmiarli, sia perchè possano compiere più efficacemente la loro azione sia perchè si logorino quanto meno è possibile. Inoltre colle reni inarcate il cavallo sopporta con minor fatica un peso maggiore. Questa cosa è evidentissima e la proviamo noi stessi che ci curviamo per portare un peso sulle spalle.

La maggior estensione di collo è, infine, indispensabile ogni qual volta il cavallo, per fare un’azione qualunque, ha bisogno di spostare il centro di gravità avanti. Il cavallo, galoppando, piglia in generale da sè, durante il lavoro, tale atteggiamento, come quello che gli è comodo; e lo fa quando le redini sono tenute convenientemente lunghe, l’appoggio è leggero, e se si ha cura di cedere colle mani ogni qualvolta il cavallo mostri di abbisognarne. Sarà talvolta utile a tale scopo di alleggerirsi in sella portando un po’ il busto innanzi, senza nel frattempo attaccarsi alla mano; anzi, tenendo le redini con la mano sinistra, converrà appoggiare la destra sull’incollatura e gravitarvi.

Si dovrà osservare che i cavalieri aiutino i cavalli senza asprezza, ma usino la dovuta progressione, proporzionando sempre gli aiuti alla sensibilità del cavallo. Si badi che non irrigidiscano mai la mano in questo frattempo, ma ne rilascino anzi maggiormente la tensione dei muscoli.

S’insegni che nel trattenere in generale, e con cavalli nervosi in particolare, è utile rilasciare tutti i muscoli del corpo e specialmente quelli delle gambe, e che, obbligati qualche volta a tirare, non si debbono mai alzare le mani.

Si ricordi che non di rado il cavallo precipita per reagire all’azione troppo forte della mano, in tal caso sarà utile far cessare quest’azione, e si otterrà la cadenza cedendo. [p. 159 modifica]

Quando s’è ottenuto che i cavalli lavorino tranquilli, guardando il terreno dove mettono i piedi, e che i cavalieri non li contrarino, è venuto il momento di fare con buon successo qualche piccolo passaggio. Qualche cosa si potrà fare anche prima, se ciò si stimi utile per infondere un po’ di coraggio e di risolutezza e per togliere l’apprensione nei cavalieri; bisogna però sempre fare in modo di evitare gli inconvenienti, i quali ottengono uno scopo contrario.

Nel far eseguire i passaggi si dovrà osservare, come in tutto, una razionale progressione, ed esigere che il cavallo li compia tranquillo e col minor spreco di forze possibili, tanto perchè si possa conservare per una fatica imprevista, quanto perchè non prenda avversione al lavoro. Perciò il cavaliere procurerà che il cavallo guardi ed osservi bene ciò che deve fare, e quando il cavallo fa, non lo dovrà disturbare nè infastidire. Indipendentemente dagli ostacoli che debbonsi saltare, e di cui dirò in un capitolo a parte, possono incontrarsi in campagna fossi, dislivelli di terreno, discese, salite, tratti e sentieri difficili ove è necessario che il cavallo osservi dove mette i piedi. Quando queste difficoltà siano di poco conto, e tali da poterlo permettere, è utile che il cavaliere sia istruito a superarle alle diverse andature.

In nessun caso prima di fare un passaggio, devesi allarmare il cavallo col prenderlo troppo in mano e coll’aiutarlo senza bisogno, altrimenti si otterrà di far rifiutare o precipitare il cavallo e gli si impedirà sovente di osservare. Il cavallo dovrà invece procedere risoluto, sempre con uguale appoggio e senza aumentare o diminuire la cadenza o l'andatura.

Le ripide discese saranno affrontate al passo, e sempre direttamente. Giunto in prossimità di essa il cavallo distende il collo ed abbassa la testa verso terra per meglio osservare, ed anche per permettere alle posteriori di portarsi molto sotto al centro di gravità. Se il cavallo è contrariato in questo movimento, quasi sempre, o si rifiuta, o vi si butta furioso. È dunque essenziale che il cavaliere lo lasci fare ed accompagni passivamente il movimento dì estensione della testa e del collo col portare [p. 160 modifica]innanzi le mani senza muoverle lateralmente. Il corpo sarà mantenuto fermo e d’appiombo, e le gambe, se sarà necessario, pulseranno opportunamente e con forza crescente finchè il cavallo abbia intrapresa la discesa; ma ricordisi che ciò facendo, l’appoggio deve essere, come sempre, leggerissimo. Appena intrapresa la discesa, il cavaliere porterà il busto proporzionatamente indietro, e, se il cavallo va bene, farà cessare l’azione delle gambe abbassando molto i talloni per evitare di toccare il cavallo cogli sproni, e conserverà le mani ferme e basse mantenendo un leggero appoggio sulla bocca.

Se il cavallo per una ragione qualunque precipita, il cavaliere cercherà di trattenerlo ritirando gradatamente le mani verso il corpo e facendo attenzione che il cavallo impaziente non si metta di traverso. È questa una cosa assai pericolosa che bisogna cercar di evitare con ogni cura, come pure occorre reprimere l’abitudine di molti cavalli di voltarsi e di tornare decisamente indietro. Ricordi però il cavaliere di conservare la calma, il sangue freddo e la ragione, perchè solo a questo patto si possono evitare gli inconvenienti. Tengasi presente che il mettersi di traverso del cavallo nella discesa, od il precipitare, è spesso causato o dalla mano, o dall’azione delle gambe, e qualche volta dal fastidio che prova alle reni ed ai garretti nel discendere. Il tornare indietro, che è causato talvolta da questi stessi motivi, può essere anche prodotto dal fatto di non avere osservata bene la discesa prima di incominciarla.

Andie le salite ripide saranno affrontate sempre direttamente. È bene però che siano intraprese ad andatura moderata, specialmente se sono lunghe, affinchè il cavallo non consumi in principio quella forza che più gli dovrà servire in ultimo. Talvolta è meglio farle ad andatura risoluta quando sono brevi e ripidissime, perchè allora il cavallo unisce la forza muscolare a quella d’impulso e di slancio. È necessario, arrivando in prossimità d’una salita, di abbassare ed avanzare alquanto le mani, perchè il cavallo, distendendo il collo e la testa, possa portare in avanti il centro di gravità. Si osservi però che il cavallo nel compiere la salita fa dei salti di galoppo [p. 161 modifica]consecutivi, in ciascuno dei quali distende nuovamente e maggiormente il collo a la testa in avanti, specialmente negli ultimi salti, quando gli viene a mancare la forza d’impulso; per cui è necessario che il cavaliere si regoli in guisa d’aver sempre abbastanza di redini da cedere, per poter permettere al cavallo di fare questi movimenti indispensabili.

Il cavaliere porterà, nella salita, il busto innanzi, e si aggrapperà, se è necessario, alla criniera con una mano. Se il cavallo desiste dalla volontà di avanzare si pulserà vigorosamente con le gambe, e si darà anche dello scudiscio attraverso al ventre. Se il cavallo accenna a tornare indietro o devìa, invece di tirare una redine, si darà il frustino sul muso, o se ne farà minaccia.

Ciò si farà nell’istruzione poichè è specialmente durante questa che si manifestano gli accennati inconvenienti, e, con un ben regolato e razionale esercizio in cui il cavaliere cerchi di porre in pratica continuamente i principii che io ho esposti il cavallo imparerà a fare così bene e a capire tutto ciò che gli si richiede, che diventerà inutile in seguito l’applicazione di ogni mezzo coercitivo. Ne risulta così una ragione di più perchè sia fatto un razionale esercizio di difficoltà all’aperto, visto che in caso vero con le armi alla mano mancano al soldato i mezzi per poter correggere i cavalli viziati.

Le salite e le discese quando sono molto lunghe, e la loro ripidità è tale da poterlo permettere, saranno fatte di traverso ed a serpeggiamento, perchè così il cavallo le può compiere più comodamente e con minore fatica.

È utile che i cavalli siano istruiti ad entrare ed uscire dai fossi e percorrervi, se il terreno dentro è buono e privo di ciottoli, qualche tratto alle diverse andature. Per scendere e salire dai fossi il cavaliere si regolerà come per le discese e le salite: quando scende avrà cui di combattere la tendenza che hanno molti cavalli di saltare sulla riva opposta. A questo scopo si osservi che quando il cavallo prima di scendere abbassa molto la testa e guarda dentro al fosso, è difficile che salti dall’altra parte, o, se pure tenta di farlo basterà [p. 162 modifica]chiamarlo con una redine lateralmente, o fargli mancare completamente l’appoggio sulla bocca perchè desista. Per uscire si procurerà di girare con energia il cavallo perpendicolarmente alla riva tirando una redine e cedendo l’opposta fino al momento in cui il cavallo sta per sollevare l’anteriore. Si avanzerà subito dopo molto marcatamente il busto accompagnando con la mano la solita estensione del collo, che in questo caso è molto pronunziata, mancando al cavallo per salire lo slancio ed essendo generalmente le ripe dei fossi assai ripide; in questo istante, se è d’uopo, si darà anche un conveniente aiuto colle gambe. Quando il cavallo deve salire sopra una ripa tagliata a picco od in muratura, se non è troppo alta, egli eleva l’anteriore e lo posa sulla ripa stessa, quindi per salire punta sulle anteriori, nello stesso tempo porta quanto può più innanzi ed in basso la testa, scatta quindi coi muscoli e porta su il posteriore. È necessario in questo caso che la ceduta completa e, se è d’uopo, l’aiuto delle gambe, siano dati solo quando il cavallo ha già le anteriori sulla ripa.

Il cavallo impara poi da sè a fare per bene tutti gli altri passaggi diversi e di qualche difficoltà che si incontrano in campagna se il cavaliere non lo contraria, anzi se gli sa assecondare e favorire la naturale abitudine che prende di guardare dove mette i piedi. Basta che quando il cavallo ha osservato, il cavaliere lo decida ad avanzare, lo lasci quindi libero di bocca e ne secondi col corpo gli equilibrii, perchè il cavallo superi magnificamente e con successo qualunque difficoltà del cammino. Regola prima e fondamentale però è sempre di permettere al cavallo di osservare e di non mai costringerlo ad avanzare prima che abbia osservato, lasciarlo quindi libero e non contrariarlo, cedendo al momento opportuno.

Devo ora dire qualche cosa intorno ai cavalli che presentano qualche difficoltà nel sottomettersi al lavoro.

In primo luogo dirò che la generalità dei cavalli viziosi è tale perchè non si è loro saputo adattare il lavoro con la progressione dovuta, e perchè in esso hanno provato inutili sofferenze. Dunque i cavalli così viziati, appena saranno montati in [p. 163 modifica]modo da evitare loro le sofferenze da parte del cavaliere, andranno presto bene.

Vi sono però anche i cavalli pigri per natura, e di cattivo carattere (quantunque essi siano più rari di quanto si crede), e vi sono anche quelli che, viziati da cattivi sistenni, hanno presa l’abitudine di spuntarla e di vincerla difendendosi. Con questi cavalli è necessario ricorrere al castigo che si userà con energia, con forza e con insistenza crescente, finchè il cavallo abbia ceduto.

Se però questi cavalli, quando cedono e compiono il lavoro richiesto, subiscono anche un dolore da parte del cavaliere, perderanno la testa e si rivolteranno con maggiore insistenza e con maggiori difese. Se invece ciò non accade, ed il cavallo arrendendosi non compie altro che la fatica del lavoro, egli imparerà a sottomettersi subito per sottrarsi al dolore ed alla pena più grave che gli arreca il castigo.

Così ad esempio quando un cavallo si pianta è necessario che ad ogni scudisciata e ad ogni speronata corrisponda una ceduta di redini, affinchè il cavallo possa buttarsi avanti senza incontrar dolore dal morso.

Si tenga per norma che quando si può agire colle buone maniere e colla persuasione è assai meglio; ma quando con esse non si ottiene nulla, bisogna allora ricorrere al castigo e non desistere di usarlo fin quando il cavallo abbia in qualche modo ceduto, sia pure per poco o momentaneamente. Questo ad ogni costo si deve ottenere prima di smettere.

Ottenuta colle lunghe galoppate ad andatura cadenzata, e coi passaggi progressivamente difficili la tranquillità nei cavalli, e acquistati l’assetto, l’equilibrio ed il tatto nei cavalieri, si potrà perfezionare l’istruzione degli uni e degli altri coll’esercizio del salto. Questo però perchè dia buoni risultati deve essere fatto bene e non in modo affatto empirico come si fa soventi, poichè in questo caso oltre non apportare alcun vantaggio per il cavaliere può arrecare danni gravissimi al cavallo.

Con l’esercizio del salto ben fatto il cavallo impara a superare col solo spreco delle forze strettamente indispensabili quegli ostacoli di campagna che non si possono altrimenti passare. [p. 164 modifica]

Ma l’utilità più grande la ricava il cavaliere. Il salto, infatti, è quello fra le azioni del cavallo in cui esso cambia, nel breve spazio di pochi secondi, più volte e marcatamente i suoi equilibrii e le sue posizioni. Si richiede quindi un certo tatto ed una certa fermezza in sella da parte del cavaliere per assecondarlo e non disturbarlo colle mani e col peso del corpo.

Quando un cavaliere favorisce per bene un cavallo nell’esecuzione del salto, egli ha qualità e tatto più che sufficienti per non disturbarlo in un’altra azione qualsiasi. Ciò apparirà chiaro dopo il breve studio che sto per fare sul salto stesso.

Per conto mio dirò che tale esercizio mi ha fatto anche persuaso di quanto ho già detto e ripetuto: che cioè i cavalli diventano viziosi e si rivoltano, in generale, non per la fatica ed il lavoro che è consentaneo alle loro forze, ma per le azioni dolorose che ricevono dal cavaliere. Infatti io ho montato ed esercitato sugli ostacoli cavalli che si rifiutavano, si difendevano ed andavano malissimo, e sono tuttavia quasi sempre riuscito a metterli a posto e farli diventare saltatori di buona indole solo cercando di non disturbarli. E sì che nell’esercizio non risparmiavo loro la fatica, ma cercavo solo di evitare il tormento e l’imbarazzo in cui li può mettere l’inopportuna azione del cavaliere, e di prenderli colla dovuta progressione.

Cercherò di studiare dettagliatamente il salto, sia per l’inportanza che ha per i vantaggi che porta quando è ben fatto, e per le funeste conseguenze che può produrre quando è malamente inteso, sia anche perchè mi ci sento un po’ trasportato dalla passione.

Quello che sto per dire non può certo essere appreso dal soldato, ma lo deve però essere dall’istruttore, affinchè possa con criterio regolare l’esercizio, correggere a tempo e con cognizione, e vedere al caso le ragioni vere delle difficoltà e dei rifiuti del cavallo.

Del salto.

Il salto, contrariamente a quello che molti pensano, è una azione naturale del cavallo come il passo, il trotto ed il galoppo.

Per perfezionarvisi e per acquistarvi abilità, il cavallo ha [p. 165 modifica]bisogno di un conveniente esercizio, basato sempre sui soliti principi intesi a non richiedere nulla d’artificiale e di forzato, ma solo a secondare la natura, cercando di lasciare libero il cavallo e di evitargli il dolore inutile.

Chi non ha sentito dire che meno si fa saltare un cavallo e meglio salterà in caso di bisogno, e che ogni salto toglie al cavallo un po’ del suo valore? Quanto questa idea sia assurda io non starò a dimostrare, ma essa trova la sua ragione nel modo imperfetto come si eseguisce da molti questo esercizio, sì che il cavallo ricevendo fastidio e dolore da chi lo monta, impara a saltar male e a rifiutarsi; di più, le cattive azioni del cavaliere e gli equilibrii falsi e forzati che in conseguenza di esse il cavallo è costretto a prendere, arrecano certamente danno all'animale, e accade quindi per il salto ciò che abbiam visto dover accadere per tutte le altre azioni del cavallo. Perciò, condizione prima perchè un cavallo riesca buon saltatore è che esso non provi nell'esecuzione del salto inutili sofferenze. Questo deve sempre aver presente il cavaliere, e ricordarsi che disgustosissima e produttrice di noiose conseguenze è sempre per il cavallo ogni azione che gli contraria i movimenti naturali e direi quasi meccanici che fa mentre salta.

Lo studio principale deve esser fatto sulla bocca del cavallo perchè le azioni fatte su di essa sono le più dolorose e possono modificare tutto l'equilibrio naturale del cavallo.

Data l’importanza di questo studio, vediamo brevemente in qual modo il cavallo compie il salto, e prendiamo perciò a studiare un saltatore che salta in libertà. Giungendo in prossimità dell’ostacolo, noi vediamo che esso porta la punta del naso in avanti distendendo l'incollatura. Questo movimento, che dà agio al cavallo di meglio osservare e misurare l'ostacolo è di molta importanza, anche per l'esecuzione meccanica del salto. Ed infatti, mentre il cavallo distende l'incollatura, punta fortemente le anteriori a terra che ricevono il peso del corpo per buttarlo sulle posteriori quando queste si saranno disposte nel modo conveniente per riceverlo. Con ciò il cavallo porta più [p. 166 modifica]agevolmente sotto il centro di gravità il treno posteriore, e lo dispone quindi come meglio si conviene per addossarsi gran parte del peso del corpo, e lanciare in seguito la massa in aria mediante lo scatto. Ciò fatto il cavallo, ritraendo la testa e il collo, e contraendo i muscoli del tronco, porta il centro di gravità indietro e permette in tal guisa, anche mediante la controspinta del davanti, all’anteriore di elevarsi, quindi, unendo lo scatto del treno posteriore allo slancio dato alla massa dagli ultimi tempi di galoppo, il cavallo giunge alla dovuta altezza.

L’animale ha in questo istante compiuto lo sforzo che lo doveva distaccare da terra, quindi noi lo vediamo fare un movimento della più grande importanza. Infatti giunto alla voluta altezza esso sposta celeremente il centro di gravità in avanti, allungando nuovamente e molto marcatamente la testa e il collo e distendendo nello stesso tempo le anteriori innanzi, le quali, dopo aver concorso in tal guisa a spostare il centro di gravità in avanti, permettono alla massa di ricadere sopra di esse. Ad effettuare lo spostamento del centro di gravità in avanti concorre anche una contrazione dei muscoli del tronco dall’indietro all’innanzi. Riesce pertanto facile al posteriore, che si è così alleggerito, di sorpassare l'ostacolo. Appena le anteriori han toccato il suolo, giungono subito le posteriori ad addossarsi il peso ed a permettere al cavallo di proseguire l’andatura.

Il primo ammaestramento che da queste osservazioni deve trarre il cavaliere è quello di comportarsi in guisa che il salto del cavallo avvenga sempre nel modo che ho descritto.

Si affronterà dunque l’ostacolo sempre perpendicolarmente, ad andatura cadenzata, conservando al cavallo lo stesso appoggio con la testa diritta, e tenendo le mani ferme e basse all’altezza del garrese. Si eviterà di gravitare col corpo troppo indietro o troppo innanzi, e si risparmierà ogni aiuto di gambe che non sia strettamente indispensabile per mantenere al cavallo la cadenza e l’andatura.

Il cavallo deve procedere verso l’ostacolo volenteroso, calmo ed attento, perciò si dovrà evitare ogni movimento od [p. 167 modifica]azione che gli possa recar dolore; non lo si prenderà troppo in mano, ma si aspetterà che il cavallo venga nella mano da sè, veduto l’ostacolo; gli si inspirerà, infine, fiducia nell’ostacolo facendoglielo osservare e, avendone modo, anche odorare.

Anche in questo esercizio è necessario di osservare scrupolosamente la progressione cominciando sempre dagli ostacoli bassissimi e non avendo mai premura di alzarli prima che il cavallo abbia compiuto per bene il salto antecedente.

A cavalli nuovi da addestrare al salto, dopo che il cavaliere ha fatto capir loro ciò che devono fare, sarà cercato anzi tutto di formare l’occhio; e per occhio io intendo l’abilità nel cavallo di scegliere con precisione e con fermezza il tempo del salto.

Questa è per me la dote più importante che si richiede in un saltatore, ed è una dote in parte naturale, in parte acquisita. Il cavallo la acquista infatti col lungo esercizio sull’ostacolo gradatamente elevabile, ma pur sempre non troppo alto, in cui il cavaliere lo lasci fare completamente da sè, affrontando l’ostacolo ad andatura moderata e cercando solo di levargli l’apprensione e l’abitudine di precipitare.

È necessario che il cavallo andando all’ostacolo impari a non temere le azioni del cavaliere ed a persuadersi che questo gli concede sempre il modo di poter saltare e non lo contraria nè lo addolora per nulla. In caso contrario il cavallo invece di far attenzione a compier bene il suo lavoro studierà il modo di sottrarsi al dolore.

Per questa ragione, che il cavallo deve abituarsi ad aver fiducia nel cavaliere e a non temerne le azioni, è preferibile esercitare il cavallo montato, anzichè scosso, quando si è sicuri di montar bene.

E non si dimentichi che nell’esercizio del salto si deve far sempre grande economia di castigo, se non sia per correggere la soverchia pigrizia, la disattenzione ed il cattivo carattere. Talvolta, quando il cavallo sotto l’ostacolo trattiene le forze ed avanza indeciso, è necessario di aiutare energicamente con [p. 168 modifica]forza gradatamente crescente e proporzionata al bisogno, ma senza asprezza.

Premesso che l’equilibrio e la fermezza in sella sono requisiti primi ed essenziali, senza dei quali è inutile parlare di altro, vediamo ora succintamente quello che, a mio parere, devesi fare nel salto propriamente detto: accompagnare col peso del corpo e specialmente con le mani ogni movimento che fa il cavallo per non impedirgliene alcuno, e non urtarlo o disgustarlo mentre li compie. Più particolarmente: arrivando in prossimità dell’ostacolo il cavaliere dovrà permettere al cavallo di distendere il collo e la testa avanzando alquanto i pugni, senza però togliere o diminuire l’appoggio e mantenendo sempre la stessa tensione di redini. In seguito, quando il cavallo ritrae la testa e il collo e sposta il proprio centro di gravità indietro caricando le posteriori, il cavaliere ritrarrà alquanto le mani senza aumentare di troppo la tensione delle redini. Non appena il cavallo ha scattato, il cavaliere accompagnerà col busto lo spostamento del centro di gravità in avanti, senza però distaccar troppo il sedere dalla sella, nel medesimo tempo collo avanzare quanto più può i pugni cedendo completamente le redini e lasciandole anche, se è necessario, scorrere fra le dita, permetterà al cavallo di distendere l’incollatura: movimento questo essenzialissimo ed importantissimo perchè il cavallo possa compiere bene e senza dolore il salto. Notisi che questo movimento di ceduta quando il cavallo trovasi per aria è della più grande importanza; il minimo urto in questo tempo da parte del cavaliere, oltre a compromettere l’esito del salto, produce altresì un’azione dolorosa sul cavallo che si propaga dalla bocca alle reni, e che spesso lo costringe a battere col posteriore sopra l’ostacolo.

Montato senza ceduta per aria e senza che si accompagni col busto lo spostamento del centro di gravità in avanti, il cavallo si disgusta e ne derivano quindi innumerevoli inconvenienti. Oltre a ciò esso impara a fare il così detto salto sui quattro piedi od a campanile, che è grandemente dannoso e doloroso per le reni, e che richiede nel cavallo uno sforzo molto maggiore. Lo spostamento del busto in avanti, però, deve essere poco [p. 169 modifica]marcato, per restar sempre pronti a riprendere il cavallo in caso che batta l’ostacolo o che inciampi arrivando a terra. Ritengo, in conclusione, che il movimento di ceduta per aria sia il più importante da parte del cavaliere e che sia per conseguenza quello su cui maggiormente si deve insistere e che deve esigersi assolutamente da tutti.

L’aiutare per sistema il cavallo, come alcuni vorrebbero, nel salto è cosa difficilissima ad esser fatta a tempo, ed anche in questo caso produce, secondo me, cattive conseguenze. Avviene infatti che il cavallo, per paura dell’aiuto, precipita in ultimo l’andatura, compromettendo seriamente l’esito del salto. Il buon saltatore non vuol essere aiutato nel salto, poichè esso, misurato l’ostacolo, già sa quanta forza gli si richiede per superarlo senza che il cavaliere ne esiga un impiego superfluo; e i mediocri ed inesperti saltatori possono diventar buoni mediante l’esercizio razionale e continuo, e non mediante l’impiego di aiuti o di altri mezzi violenti. Talvolta, eccezionalmente, l’aiuto può essere utile negli ultimi due o tre tempi di galoppo o nel momento in cui il cavallo sta per spiccare il salto quando esso accenni a trattenere lo forze marcando un tempo d’arresto. Bisogna però sempre esser cauti, e usarlo solo nella misura opportuna.

Si dovrà subito desistere da ogni azione, tosto che il cavallo accenna ad andar bene. Si eviti ad ogni costo di muovere le mani lateralmente, ma si avanzino i pugni e si cedano le redini. Si consideri che il muovere i pugni è dannosissimo, perchè questo movimento impedisce al cavallo di osservare, gli dà quindi maggior pretesto di piantarsi e lo confonde nella scelta del tempo.

Si osservi di non far mai saltare ostacoli considerevoli a cavalli che sono impressionati od hanno paura dell’ostacolo. Questi cavalli si eserciteranno con ostacoli bassi, preferibilmente a lenta andatura, facendoli anche loro vedere o fiutare prima. Si cerchi infine di studiare la causa dell’impressione o del timore, e si procuri di rimuoverla. Non appena ciò si sia ottenuto, si aumenti gradatamente l’ostacolo. Con cavalli [p. 170 modifica]nervosi il cavaliere eviterà di stringere fin anche l’inforcatura, o di allarmarli prendendoli troppo in mano, essendo queste due cause che li fanno precipitare e confondersi.




Mi sono limitato in questo mio studio a tracciare alcune norme principali e avrò certamente lasciato molte lacune, ma il principio che mi sono studiato di mettere in evidenza e che, secondo me, è il fondamento dell’equitazione di campagna, è di sempre assecondare e favorire gli istinti e le attitudini naturali del cavallo, evitando di produrgli durante il lavoro inutili sofferenze.

Coll’applicazione rigorosa di questo principio, il quale si impone anche per la esiguità e la semplicità delle sue regole, il cavallo, sottomissibile per indole, non si rivolterà ma spiegherà, anzi, tutte le sue doti che lo hanno reso in ogni epoca così prezioso strumento di guerra.

Termino quindi con un fervido voto perchè queste poche idee, frutto di non breve esperienza e che ottennero anche l’approvazione di molti ufficiali esteri, con cui ebbi occasione di intrattenermi, acquistino nella nostra cavalleria quella diffusione e quel credito che a me sembra debbano meritare, fino a divenire cardine dell’equitazione militare da impartirsi al soldato.

Tenente Caprilli.