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114 | cronaca |
nioni di von Sallet, Waddington e Mommsen, circa l’epoca in cui l’arconte Asandro prese il titolo di re, ed esamina i tipi ed i contrassegni delle sue monete, terminando con uno specchietto cronologico delle medesime.
Robert (P.-O.) — Monnaies, jetons et médailles des évêques de Metz. — Séguito di un diffuso ed accurato lavoro, che tien calcolo anche delle menome varietà grafiche e di tipo, e che dimostra l’acume e la diligenza del chiaro numismatico di cui si deplora la perdita.
Puschi (A.) — L’atelier monétaire des patriarches d’Aquilée. — Anche questo estesissimo articolo è la continuazione di uno scritto comparso in altro volume dell’Annuaire e che costituisce una seconda edizione, ampliata, dello studio pubblicato dal medesimo autore e sotto lo stesso titolo a Trieste nel 1884.
In questa terza parte della sua monografia, il Puschi incomincia dal descrivere alcuni denari incerti, che si trovarono in numerosissimi esemplari nel Friuli, e ohe si possono considerare come la introduzione alla serie numismatica di Aquileia, quantunque da vari autori siano stati assegnati ad altre zecche, anche non italiane. Ad ogni modo, essi formano come un anello di congiunzione coi prodotti monetari dell’officina di Friesach, dove, come si rileva dalla uniformità dello stile, furono probabilmente coniati i primi denari di Aquileia, che apparterrebbero ai patriarchi Goffredo n e Pellegrino II. È questa una scoperta fatta dal Prof. Luschin, esaminando due monete col nome di Aquileia ma apparentemente di patriarca incerto, trovate nel 1881 in Ungheria, e da lui cedute poi al Museo civico di Trieste. Egli scoperse infatti che sul libro che il prelato tiene nella sinistra, stanno scritte rispettivamente, in caratteri minutissimi, le sillabe GO TI e PI LI, ossia il principio del nome del patriarca.
Dopo questa scoperta di Luschin, non v’ha dubbio che Goffredo non sia stato il primo patriarca che abbia battuto moneta propria. Lo stile, ed il nome quasi impercettibile del patriarca e del suo successore dimostrano, osserva Puschi, che questa monetazione non è il risultato di un privilegio particolare nè d’un diritto concesso dall’imperatore, ma che è sorta spontanea, limitandosi dapprima a copiare le monete altrui.