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482 | giovanni mulazzani |
stra in allora deserta, chi mai lo potrà mettere in forse, sapendosi dalla storia, che sudditi fedeli e devoti costantemente gli si serbarono i Pavesi; che validamente lo aiutarono nella guerra contro Milano, e che la città loro fece quell’imperatore per sua sede, dopo l’eccidio della nostra? Alcuni scarsi documenti lo additano, e per tutti può bastare il concordato del 1254, nominato già, fra sette città lombarde, in cui Pavia trovasi registrata, di coniar uniforme moneta imperiale; denominazione a ragione adottata dal privilegio originario imperiale, comune a tutte.
Dal secolo XIII retrocedendo al V, in cui la Zecca di Pavia ebbe principio coi re goti, che scacciati da Ravenna, passarono a stabilirvi la loro residenza, bisogna distinguere due epoche: la Carolingica del 773, che si amalgama, finita quella dinastia, colla imperatoria e regia d’Italia e di Lamagna fino a Federico I; la gotica e la longobardica da riguardarsi per una sola. Non è bisogno di ridire, dopo tutto quanto indietro fu trattato di proposito, che di lire, soldi e danari di fino argento, o quasi, si compose il sistema monetario di Carlomagno, nè d’ingolfarsi nelle vicissitudini cui soggiacquero quei valori. Bensì mancare non posso di far rimarcare, meglio che non feci da principio, un periodo luminoso dell’officina pavese che si distende nel secolo IX, in cui le due monete corsero assieme a quelle di Lucca, d’impasto eguale, ricercatissime, ed anche contraffatte per tutta Italia. Innumerevoli carte di quel tempo ce lo insegnano; e troppo lungo sarebbe di qui trascrivere i tanti brani, rimandando i curiosi a Muratori, a Carli e ad altri padri della scienza nostra. Dei Goti e Longobardi infine dovendo esporre alcun che, farò noto, rispetto ai primi, che non abbiamo di essi, trapian-