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214 francesco di palma

mostra, che il primo conte di nome Nicola essendo colui, che si ribellò a Ferdinando I con la venuta di Giovanni d’Angiò, il tornese con la leggenda Nicola Come non può risalire oltre la metà del secolo XV. E poi, il secolo di distanza, fra le ultime monete di Acaja ed il primo tornese coniato nel Reame, non è più un’obbiezione dopo la scoverta del tesoretto di Napoli avvenuta nel 1886. Poichè questo, con i tornesi napoletani battuti sotto Carlo di Durazzo e Ladislao, cioè dal 1384 al 1414, ha dimostrato1, che quando in Grecia decadevano i dominii latini, e la loro moneta scarsamente coniata non bastava agli scambi commerciali, che il Reame di Napoli aveva col principato di Acaja ed il ducato di Atene, allora appunto cominciarono le zecche del regno a produrre i tornesi richiesti dal commercio. E nulla vieta, o meglio tutto induce ad ammettere, che a quella rinnovellata coniazione di tornesi abbia partecipato Campobasso con la moneta, che io ho la fortuna di pubblicare. La quale perciò si può riferire o al conte Guglielmo, o ad Angelo I, che vissero al tempo di Ladislao.

I piccoli gigli, che fiancheggiano il castello, possono ritenersi come il segno parlante, che ricorda il Monforte, autore della moneta. Il quale, più modesto del proprio figlio, o nipote Nicola, non osò di far imprimere il proprio nome, e fu contento del segno, che indicava la parentela della sua famiglia con la Casa reale di Francia.

Più tardi il conte Nicola, volendo battere moneta trovava un modello quasi domestico a cui attenersi: e così entra ultimo nella serie dei tornesi napoletani quello di Nicola di Monforte conte di Campobasso. Al quale io ho, in questa mia povera illustrazione, attribuito sempre una sola moneta. Ma prima di por termine, non voglio mancar di avvertire, che sulla fede dell’anonimo autore della Dissertazione, Nicola di Campobasso coniò altre due monete, che esistevano presso il canonico Alessandro Maria Kalefati. Entrambe con i tipi della croce patente e del castello, hanno per leggenda.

  1. De Petra G., Op, cit., alla nota 2.