Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/694

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ATTO TERZO 333


Enr. Vorrei che ci potessimo redimere da tutti i trasgressori della sua specie. Noi ordiniamo che durante il nostro passaggio nulla si tolga per violenza, nulla si accetti fuorchè pagando: ordiniamo che non s’insulti neppur l’infimo dei Francesi con alcuna parola di disprezzo o di rimprovero. Quando la dolcezza o la crudeltà si contendono un regno, il giuocator più gentile è quello che vince. (squillo di trombe. Entra Montjoy)

Mont. Voi mi conoscete al mio abito?

Enr. Ebbene, ti conosco. Che vuoi tu dirmi?

Mont. Le intenzioni del mio signore.

Enr. Dichiarale.

Mont. Così dice il mio re. — Annunzia a Enrico d’Inghilterra, che sebbene noi siamo sembrati morti, eravamo soltanto addormiti. L’occasione ottiene più vittorie che la temerità. Digli che avremmo potuto sconfiggerlo in Harfleur, ma che non giudicammo a proposito di vendicare un’ingiuria, prima che fosse al suo colmo. — Ora tocca a noi a parlare, e la nostra voce è la voce d’un sovrano. L’Inglese si pentirà della sua follia: ei sentirà la sua debolezza, e ammirerà la nostra pazienza. Digli di pensare al suo riscatto che dev’essere proporzionato alle perdite che abbiamo sofferto, al numero di sudditi che ci son mancati, all’insulto che tollerammo; e se la riparazione dovesse eguagliar la grandezza dell’offesa, la sua debolezza vi soccomberebbe. Per pagare le nostre perdite il suo tesoro è troppo povero: per scontare l’effusione del nostro sangue, tutte le schiere del suo regno sarebbero insufficienti. E rispetto all’onta che ci si volle infliggere, la sua persona stessa prostrata ai nostri piedi non farebbe di essa che debole e indegna ammenda. A questo discorso aggiungi la sfida; e finisci col dichiarargli ch’egli ha consacrata la perdita di coloro che lo seguono. — Così parla il re mio signore: e qui finisce il mio messaggio.

Enr. Qual è il tuo nome? il tuo grado lo conosco.

Mont. Montjoy.

Enr. Tu riempi bene il tuo ufficio; riedi adunque e di’ al tuo re che in questo momento io noi ricerco, e che ben lieto sarei di potermene andare senza ostacoli fino a Calais, perocchè, per dir il vero, sebbene la prudenza vieti una tal confessione dinanzi a un nemico astuto, che spia e attende al proprio vantaggio, i miei soldati sono assai infiacchiti dalle malattie; il loro numero è scemato, e i pochi che mi rimangono non valgono più d’altrettanti Francesi. — Finchè gli uomini miei erano rigogliosi e in salute, io ti dico, araldo, che sopra due gambe inglesi mi pareva