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ATTO QUINTO 271

spurii si farebbero male l’uno coll’altro? Bada che la disputa ci sarebbe fatale a entrambi. Se il figlio d’una meretrice combatte per una meretrice, egli è giudicato: spurio, addio.

Mar. Il demone ti porti, codardo. (escono)

SCENA IX.

Un’altra parte del campo.

Entra Ettore.

Et. Cuor vile sotto sì splendidi addobbi, ìa tua bella armatura ti è dunque costata la vita! Ora le mie opere di questo dì sono finite: è tempo che mi riposi. Rientra nel tuo fodero, mia spada: versasti sangue abbastanza! (si toglie l’elmo e appende dietro a sè il suo scudo; entra Achille coi Mirmidoni)

Ach. Mira, Ettore, il sole sta per tramontare: guarda come la lurida notte lo segue da presso, bramosa di regno: col tramontare di quell’astro si deve estinguere la tua vita.

Et. Io sono disarmato; non approfittare di tal vantaggio, Greco.

Ach. Feritelo, soldati, feritelo; è lui ch’io cerco. (Ettore cade) Tu, Ilio, precipiterai dopo di lui; Troja, l’ora della tua ruina è giunta. Qui giace chi ti facea forte, chi solo li sosteneva. Su, Mirmidoni, gridate tutti: Achille ha ucciso il possente Ettore. (si ode una ritirata) Udite! I Greci riedono dal campo.

Un Mirmidone. Anche le trombe di Troja suonano a raccolta, signore.

Ach. L’ala dei draghi notturni si stende sulla terra, e separa gli eserciti, come il giudice i pugilatori. La mia spada, quantunque assetata ancora, pure riposerà. Su, legate il di lui corpo alla coda de’ miei cavalli; ch’io lo trascinerò per queste pianure di Troja. (escono)

SCENA X.

La stessa.

Entrano Agamennone, Ajace, Menelao, Nestore, Diomede ed altri in marcia. Grida al di dentro.

Ag. Udite, udite! Che grida son queste?

Nest. Silenzio, tamburi. (dal di dentro: Achille! Achille! Ettore è ucciso! Achille!)