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ATTO QUARTO | 33 |
Nat Son versi infatti, signori, e molto belli.
Ol. Ch’io ne oda una stanza, una strofa, un terzetto: lege Domine.
Nat. «Se l’amore mi ha reso spergiuro, come mai di amore potrò giurare? Ah! non vi sono altri sacramenti costanti che quelli che vengono fatti alla bellezza. Sebbene spergiuro a me stesso, sarò fedele a te. Quel che è per me una quercia inflessibile, non è per te che una pieghevole canna. Lo studio abbandona i suoi libri per non leggere che ne’ tuoi occhi, in cui splendono tutti i piaceri che l’arte può compendiare. Se la scienza è lo scopo dello studio, il conoscerti basta ad ottenerne. Dotta è la lingua che sa ben laudarti. L’ignoranza è nell’anima, che senza sorpresa ti vide, ed è un elogio per me l’essere ammiratore del tuo merito. Il tuo occhio lancia il folgore di Giove, e la tua voce il suo formidabile tuono; ma quando tu non sei in collera, il tuo accento è una musica dolce, e il tuo sguardo comunica un soave calore. Figlia del Cielo, amica mia perdonami s’io ti fo ingiuria, cantando con voce mortale le lodi di sì divina cosa».
Ol. Voi non sapete trovare le apostrofi, e sbagliate gli accenti: lasciate ch’io rivegga quella canzonetta. Non vi è che il numero e la misura; ma in quanto all’eleganza, alla facilità, e all’aurea cadenza della poesia caret. Ovidio Nasone era l’uomo! E perchè si chiamava egli Nasone, se non perchè sapeva fiutare i fiori odoriferi dell’imaginazione, e i tempi dell’invenzione? Imitari, equivale a nulla; così fa il cane verso il suo padrone, la scimmia verso il suo guardiano, l’infettucciato cavallo verso il suo cavaliere. Ma, donzella virginea, era a voi diretta quella epistola?
Giac. Sì, signore, per parte di monsieur Biron, uno dei signori della regina forestiera.
Ol. Leggerò la soprascritta: Alla nivea mano della bellissima Rosalina. Riguarderò ancora al contenuto per vedere la denominazione della parte scrivente: Il devoto servitore di Vossignoria, Biron. Messer Nataniele, questo Biron è uno di quelli che fecero voto col re, ed egli ha qui scritto una lettera diretta ad una delle dame della regina, che per caso è capitata a noi. — Correte, mia cara, e ponete questo scritto nelle regie mani: potrebb’essere importante: andate, non vi perdete in cerimonie, che ve ne dispenso. Addio.
Giac. Buon Costard, vieni meco. — Signore, Dio salvi la vostra vita.
Cost. Son teco, mia fanciulla. (esce con Giac.)