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134 racconto undecimo

che con tanta rapacità e barbarie avevano saccheggiato Roma due anni innanzi, giungere anche prima che i Fiorentini sel pensassero alla vista di Firenze, e postarsi sulle colline di Montici e d’Arcetri, nel Pian di Giullari, alla torre del Gallo e a Giramonte. Allora le discordie, i rancori cessarono; e la gioventù memore delle glorie passate fu sollecita ad armarsi, ardente di difendere la patria, pronta a obbedire ai capitani1.

Francesco, desideroso anch’egli di fare il proprio dovere, ma sollecito della salute della sorella, stava in gran pensiero per lei, si affliggeva di vederla ridotta in così misero stato, e non aveva cuore di abbandonarla un istante. «E perchè, gli diceva essa, perchè vuoi tu addolorarti per me in questo modo? È vero; l’amor tuo solamente e quello che mi fa sopravvivere al padre. Perduto lui, se non avessi un fratello, quale speranza mi rimarrebbe su questa terra? Ma credi tu che io non abbia la forza d’incontrare nuove sventure? Ah! Io so pur troppo di che siamo minacciati! Firenze dovrà cedere ai Medici, o esser ridotta in un mucchio di cenere...» — «E perchè vuoi disperare di tutto?» interruppe il fratello. — «Io non dispero. So che non le mancheranno difensori; Dio faccia che s’avverino le predizioni del Frate2 e i vaticini dei suoi successori3;

  1. Repetti op. cit.
  2. Girolamo Savonarola.
  3. Fra Benedetto da Foiano e Fra Zaccaria da Fivizzano,