Pagina:Saggio di rime.djvu/47

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* xlvi *

BEn posso dir che al nascer mio splendea
     Astro funesto, e a me nimico assai,
     Da cui certo sperar non si potea
     4Giorni felici, e di goder giammai;
Se non che quando penso all’alma rea
     Delle colpe onde il ciel, lassa! oltraggiai,
     Allor confesso che non conoscea
     8La verace cagion di tutti i guai.
E mutando discorso io dico: intanto
     Per quelle mi convien pene, e disastri
     11Togliere in pace, e sì far Dio placato.
Presso lui molto puote un vero pianto,
     E non già l’accusar le stelle, e gli astri,
     14Che influsso già non han nel mio peccato.



MAdre, cui tal fin’ora ti provai,
     Sebben qual figlia ingrata, e sconoscente,
     Che in onta pur del tuo Figliuol clemente
     4In mille modi, misera, peccai;
Laonde a correzione pene assai
     Intorno a me svegliò sua man possente:
     E fu bella mercè, perchè sovente
     8Piansi quei falli in dolorosi lai;
Or tu, giacchè poi d’essi or sento orrore,
     E in cui soddisfazion questa darei,
     11Benchè di niun valor, caduca vita;
Impetrami costanza dal Signore.
     Tu Figlia, Sposa, e Madre non gli sei?
     14Ove a ricorrer meglio chi mi addita?



Di