Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. II.djvu/70

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68 capitolo xxi.


La repentina caduta, la violenta emozione provata e sopra tutto la pioggia di sassi che aveva preceduto il capitombolo della gigantesca rupe, avevano fatto svenire Burthon, Morgan e O’Connor. L’ingegnere solo, quantunque avesse ricevuto fra le due spalle un grosso sasso, non aveva smarrito i sensi nè aveva perduto, in quella orribile convulsione del suolo, il suo straordinario e ammirabile sangue freddo.

Cessate le scosse e le cadute delle rupi, si era prontamente alzato slanciandosi verso il fiume onde raggiungere il battello, ma era andato a urtare contro una roccia che chiudeva, da quella parte, ogni via di scampo. Allora era subito tornato indietro sperando di uscire da un’altra parte, ma una nuova rupe gli aveva impedito di andare più innanzi.

Si guardò intorno ma non vide che fitte tenebre, essendosi le lampade spente. Si gettò a terra e tastando il terreno per paura di cadere in qualche crepaccio, strisciò verso il luogo occupato dai suoi compagni.

Prima cosa che sentì sotto mano fu una lampada. Accese l’esca, aprì la rete metallica e diede fuoco al lucignolo il quale sparse all’ingiro una bella luce.

— Siete voi, signore? chiese subito una voce.

L’ingegnere si volse e vide presso di sè Morgan, pallidissimo sì ma sano e salvo.

— Ti credeva morto, macchinista, disse sir John. Hai nulla di rotto?

— Sono ammaccato ma non ho rotture, ringraziando Iddio.

— Sai Morgan che siamo fortunati noi?

— Lo vedo, signore. Io credevo di non tornare più in vita.