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214 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

capelli lunghi, grossi e ruvidi, che cadevano disordinatamente sulle loro larghe spalle. Taluni avevano il viso tatuato; per lo più sulle guance portavano dei segni rossi, altri gialli od azzurri; nessuno aveva barba, avendo avuto cura di strapparsela, e così pure erano privi di sopracciglia.

Avevano la testa adorna di penne d’aquila o di tacchino, agli orecchi piastre d’oro incastrate nei lobi, al collo perle di vetro e denti di animali selvaggi, il petto nudo e le gambe coperte da calzoni azzurri o verdi, scotennati ed adorni, ai lati, di capelli strappati ai vinti nemici; altri invece portavano i mokassini, specie di uose di pelle di bufalo, adorne pure di capigliature.

Il capo, riconoscibile pel suo diadema di penne di tacchino selvatico, che gli scendeva lungo il dorso fino alla cintura, e per la sua coperta di lana di montone delle montagne tessuta con pelo di cane selvaggio, arabescata di disegni complicati e colorati e frangiata, si fece innanzi, e giunto presso Sanchez che agitava la sua bandiera, lo salutò col tradizionale A hu! poi impugnando fieramente la lancia, chiese:

— Che cosa vengono a fare i visi-pallidi nel campo di Ba-da-ah-sciou-du (il Saltatore)? Forse ignorano, che gli Apachi sono sempre stati in guerra coi visi-pallidi?... Ho detto!...

— Mio fratello-rosso il Saltatore, — rispose Sanchez, — s’inganna se crede di aver da fare con dei nemici. Noi siamo uomini che veniamo dai lontani paesi dell’occidente per cercare un grande capo degli Apachi, ma non per portare la guerra in queste ragioni, poichè non vogliamo male alle pelli-rosse, ai prodi guerrieri della grande prateria, come i larghi coltelli del Nord (Americani del Nord).

— Mio fratello il viso-pallido non ha la lingua biforcuta?1

— È leale come quella d’un cacciatore d’orsi,2 e per dimostrare a mio fratello viso-rosso che noi siamo qui venuti con intenzioni pacifiche, guardi! —

Sanchez alzò il rifle e lo scaricò in aria. Il marchese e gli arrieros fecero altrettanto.

  1. Vuol significare lingua doppia, non sincera.
  2. È un proverbio dei cacciatori di prateria, e vuol significare leale, schietto.