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— Spiegatevi.
— Ciò riguarda me.
— Ho diritto di saperlo, comandante, — disse Calderon con tono imperioso. — Io sono l’agente del Governo.
— A voi, signore, non spetta che dirmi se devo forzare il passo o riprendere il largo, e nulla di più — rispose il capitano con alterezza.
— Ma il tesoro...
— Vi ho detto che possiedo i mezzi necessari per farlo giungere a destinazione, anche se la mia nave saltasse o venisse calata a fondo, e ciò vi basti. Aspetto i vostri ordini, signore.
— La goletta di Avellana non è comparsa?
— No, e credo che non comparirà per facilitarci lo sbarco. A noi non resta ormai che di forzare la foce del Rio della Plata e di correre su Assuncion. Attendo i vostri ordini.
— Forzate la foce.
— Vi avverto che, giunti dentro il fiume, non ne usciremo più e che forse colà tutti ci lasceremo la pelle.
— Non importa.
— Vi avverto ancora che, se ci calano a picco nel fiume, gli alleati potranno ricuperare le armi e le munizioni.
— Basta così, si vada innanzi. Tali sono gli ordini del Governo, — disse seccamente l’agente.
— E così sia. Avrò sempre un paio d’ore di vantaggio per far partire il tesoro.
— Non vi comprendo, signore.
— Meglio così.
— Badate che il Presidente conta sui milioni.
— Gli saranno consegnati.
— Ma in qual modo?
— Macchinista, — gridò il capitano invece di rispondere all’agente, — macchina avanti. E voi altri giovanotti approntate i fucili e armatevi di coraggio. Fra poco qui farà molto caldo.
— Signore! — disse l’agente, che si era fatto pallido.
— Desiderate? — chiese il capitano con ironia.