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il treno volante 107

tinuava ad imprimere scosse disordinate al treno volante, ricominciarono a sparare, mirando alla testa.

I colpi si succedevano ai colpi, con poco profitto. Le continue scosse rendevano la mira difficile.

L’ippopotamo era stato colpito varie volte senza alcun costrutto; ma le palle che gli grandinavano addosso lo rendevano maggiormente furibondo.

Muggiva orribilmente, batteva i denti con uno stridore sinistro, spalancava l’enorme bocca piena di schiuma sanguigna e si contorceva disordinatamente, tentando di liberarsi dall’àncora.

Al dodicesimo colpo di fucile l’animalaccio cadde sulle ginocchia, dimenando furiosamente la testa. Il tedesco gli aveva mandata una palla presso l’occhio destro, causandogli una grave ferita, però il proiettile non pareva che gli avesse toccato il cervello.

— Un’altra ancora e cesserà di vivere — disse l’arabo.

Al sedicesimo colpo un’altra palla di El-Kabir feriva il mostro presso lo stesso punto.

L’ippopotamo questa volta mandò un ruggito più acuto, spalancò l’enorme bocca aspirando affannosamente l’aria, poi rotolò nel fiume, fermandosi su di un banco di sabbia quasi sommerso dall’acqua.

— È morto! — gridò El-Kabir.

— Gettate la scala! — comandò il tedesco.

Sokol ubbidì.

— Scendiamo — disse Matteo preparandosi a scavalcare il parapetto.

— Prendi il fucile! — gridò l’arabo.

— È già morto — rispose il greco. — Ci servirà meglio una scure.

— Non si sa mai che cosa possa accadere.

Il greco prese il suo mauser e cominciò a scendere seguito a breev distanza dal tedesco e da Sokol, il quale si era armato di una pesante scure.