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il treno volante 159


— Pare impossibile — disse il tedesco, dopo di averne bevuto alcune sorsate. — La paura mi prende ora. Se mi avesse colto un po’ prima, facevo un bel capitombolo. Dove siamo?

— Andiamo verso l’ovest — rispose Matteo.

— E gli arabi?

— Non si vedono più. E di Sokol, cosa è avvenuto?

— L’ho ucciso — rispose Ottone.

— Ucciso! — esclamarono tutti con sorpresa.

— Era un traditore che ci aveva venduti ad Altarik.

— Il mio servo, un traditore? — gridò El-Kabir.

Il tedesco, che si era un po’ calmato, narrò allora quanto era avvenuto dopo la fine dell’elefante, non dimenticando alcun particolare.

— Ho provato un solo grande dispiacere — soggiunse.

— Quale? — domandò Matteo.

— La morte di quel bravo negro a cui debbo la mia salvezza. E voi, dove siete stati spinti dal vento? Temevo di non vedervi più tornare.

— E tu potevi supporre questo? — chiese il greco.

— Temevo che non sapeste ricondurre il treno aereo verso il fiume.

— Veramente in principio ci siamo trovati un po’ imbarazzati — disse Matteo.

«Tagliata l’àncora, il Germania si era innalzato di duemila metri, facendoci perdere di vista il fiume.

«Lassù una fortissima corrente d’aria ci aveva presi portandoci verso il nord.

«Non fu che dopo parecchie ore che riuscimmo a riabbassarci aprendo le valvole dei palloni.

«Fortunatamente avevo rilevato la direzione del fiume e, come hai veduto, siamo ritornati in buon punto per sottrarti all’assalto degli arabi.

— Hai rigonfiato i palloni?

— No.